Franco Moramarco

La balena

SPECIAL ONE | MAR 2023

La sorte dei figli degli uomini è la sorte delle bestie; agli uni e alle altre tocca la stessa sorte; come muore l’uno, così muore l’altra; hanno tutti un medesimo soffio, e l’uomo non ha superiorità di sorta sulla bestia; poiché tutto è vanità. Tutti vanno in un medesimo luogo; tutti vengono dalla polvere, e tutti ritornano alla polvere. Chi sa se il soffio dell’uomo sale in alto, e se il soffio della bestia scende in basso nella terra? 

(Ecclesiaste III)

Il pranzo viene alla fine del mattino, e dopo il pranzo è il pomeriggio, che dura più del mattino. Poi è il buio.

Quella mattina la scuola di mio fratello era chiusa così lui mi ha accompagnato fino a Diano Marina sulla strada lunga che esce di casa; già allora mio fratello era molto più grande di me e poteva fare quelle lunghe passeggiate. Così abbiamo superato quei posti dove la mamma mi lasciava andare alla panetteria, e il campetto dei gatti selvatici sotto il carrubo; abbiamo oltrepassato anche la stazione dei treni, che era il posto più distante del paese. Oltre quello, c’erano solo posti davvero lontani, dove si andava con l’autobus, o la macchina. Abbiamo camminato ancora e ancora e io pensavo che lui mi avrebbe portato alla sua lontanissima scuola, dove dietro potevi vedere le locomotive che quando sbuffano fanno dei fumetti. A volte eravamo sulla Via Aurelia, a volte andavamo lungo il mare, che è fatto tutto di un’acqua salata e azzurra quando fa caldo, e grigia quando piove; e poi il mare fa sempre rumore e succhia, e risucchia, ed è pieno di polpi e delle navi affondate dalla guerra con tutti i loro rottami e di pesci affondati li dal buon Dio. Dio abita nel cielo, ma ha creato anche la terra e il mare e poi gli animali piccolissimi, formiche e mosche e anche quelli più grandi, i cani delle case dietro il campetto e le balene che però possono stare solo nel mare. Il mare non si lascia bere, perché è salato e invece lui si può bere tutta una nave e dentro la sua pancia contiene meduse che ti bruciano la pelle se solo le sfiori, o paguri che pizzicano il piede, e murene che mordono; anche le balene sbuffano a volte da una cosa che hanno sulla schiena e anche lì sembrano fumetti coi loro pensieri; le balene hanno occhi grandi come piattini della frutta ma tutti neri. E insomma dove arriviamo, c’era proprio una balena che si era arenata lì, allo sbocco del torrente prima del molo.

In quel posto ero già stato con la mamma e il papà, per le giostre; e un’altra volta per passeggiare, perché a papà e mamma allora piaceva tenersi sottobraccio e passeggiare sui moli. Ci andavano a volte con me, la sera. Altre sere restavo a casa e andavo a letto appena il rosa diventava notte; allora spesso mia zia mi leggeva certe favole imparate dalla sua nonna tanto tempo prima della guerra, favole che nessuno conosce più; lei aveva occhi acquosi ed era miope e poi aveva un odore di sapone ed era sola senza marito, così spesso veniva a trovarci portando in regalo nella valigia un pane nero croccante che dentro aveva il colore del miele, o certi dolci che nessuno sapeva cucinare a quel modo. Mi piacevano, quelle sere, mentre il rosa annottava, quando lei raccontava favole e storie di San Nicola oltre il mare, e storie di come la notte i bambini bravi dormono sempre.

Un giorno questa zia dolce e debole si era messa a letto malata, e passava il tempo a sgranare un rosario di piccole biglie d’ambra consumate di preghiere. Respirava male, la mia zia, e il dottore era venuto ad ascoltarle i polmoni con un tubo lungo fino alle orecchie. “Auscultare”, mi aveva corretto lui. I dottori avevano una lingua fatta di parole così, un po’ diverse dalle nostre. Alla fine mi aveva dato una caramella azzurra. La zia aveva capelli neri che sbiancavano dalla radice; li teneva annodati in lunghe trecce ravvolte in un nodo indecifrabile; e anche se me lo permetteva solo di rado, a me piaceva carezzarla lì, dove i capelli si avviluppavano nel nodo.

Anche quando la zia faticava a respirare mi piaceva accarezzarla e d’altronde potevo fare solo quello, per aiutarla; così, quando i miei fratelli erano a scuola e mio padre al lavoro e la mamma usciva a fare le spese, io custodivo e carezzavo la zia e il suo respiro che soffiava. 

 Ma non potevo accarezzare così la balena; e ricordo che avrei voluto piangere per come anche lei respirava piano, ma le lacrime mi restavano dentro, per quanto era grande che non la potevi guardare tutta insieme; è impossibile piangere per qualcosa che non puoi vedere tutta insieme mi dicevo, e questa era la cosa curiosa più curiosa del mondo; più strana delle cose nascoste in solaio; dei bauli che contenevano di tutto, al buio, tutte le cose antiche e misteriose dei nonni e il resto del trasloco; misteriosa più del buio della notte che anche quello non potevi guardare tutto, perché alla fine dormivi; perché alla fine anche la balena forse dormiva e si sarebbe svegliata di nuovo, come la mia zia con i capelli fatti in un nodo. Quando finalmente io e mio fratello abbiamo accarezzato la pelle della balena, era ruvida e fredda, e quello mi ha fatto paura, come se toccassi il fondo del mare. Dallo sfiatatoio della balena ora non uscivano più soffi e pensieri, e il suo occhio mi seguiva sempre più spento. Dentro c’era una specie di vuoto che mi guardava; guardava me, e si aspettava che la aiutassi; dentro quell’occhio c’erano il mare e le alghe e le onde senza fine; c’era il gomitolo della lana della mia zia, il nodo nei suoi capelli quando erano ancora tutti neri, c’era il suo alito che sapeva di male. C’era una galleria lunga come quella che portava verso la Francia e Montecarlo, quella che mi aveva spaventato tanto, buia e umida, ma poi, usciti di lì, avevamo trovato il sole e i limoni e un paese dove gli uomini parlavano un’altra lingua. Allora Io mi sono stretto forte a mio fratello e lui mi ha portato via.

Tutta quella notte ho sognato lo sguardo della balena, misterioso come il nodo indecifrabile dei capelli della mia zia.

27 Marzo 2014

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