Roberta Giulia Lombardi

Adelaide

SPECIALE 02 X BookCity Milano | NOV 2023

Adelaide scrutava l’andirivieni dei passanti, avvolti nell’alito nebbioso di Milano, attraverso la vetrina del bar. 

“Desidera altro, Signora?” chiese la cameriera, facendo rimbalzare la sua lunga treccia bionda. 

“Un caffè, per favore”. 

Non l’aveva ancora detto a nessuno. Aveva fatto il solito controllo al seno, perché era una donna scrupolosa. Come se il fatto di fare più esami, fosse in sé una garanzia per non ammalarsi. Non si sarebbe mai aspettata che il medico le chiedesse di fare altri accertamenti. E ancora, era rimasta sicura che sarebbe stato qualcosa di benigno. 

“È inutile mettere il carro davanti ai buoi” le diceva sempre Fabrizio, il suo insegnante di inglese alla scuola professionale. Le sue parole valevano come oro per lei, anche adesso che aveva quarant’anni e faceva la segretaria di un avvocato divorzista, un uomo che guadagnava molto e si godeva la vita. 

Posò la tazza di caffè e prese il cellulare, rimasto silenzioso. A quell’ora chiamava sempre sua madre.   

“Ma non te le può portare Elena?”.

La sera aveva un appuntamento, preso su una app che utilizzava ultimamente, ma la madre era bloccata a casa con un brutto raffreddore e sua sorella minore era impegnata come sempre. 

“Va bene, passo io, cosa devo prendere?”. 

Attraversò la strada, poteva fare quel percorso anche a occhi chiusi. Le auto al semaforo ringhiavano e fumavano come leoni nella savana, mentre i pedoni pascolavano ignari sulle strisce pedonali. La grossa croce verde lampeggiava ritmicamente. Andava spesso in quella farmacia, ma ancora non la riconoscevano. Ci andava proprio per quello. 

Mentre era in fila alla cassa, afferrò un grosso barattolo di crema anticellulite, che prometteva miracoli e fianchi perfetti. Guardò il prezzo e pensò a tutte le altre confezioni rimaste a metà nel mobiletto del suo bagno. Comprò le medicine per la madre.

Da quando aveva saputo della malattia, aveva passato intere giornate in uno stato di incoscienza, come se fosse entrata in un’altra dimensione in cui a malapena si riconosceva. Non era più lei, si era intrufolata nella vita di una sconosciuta, c’era stato uno scambio di ruoli. La sua esistenza aveva preso una svolta inaspettata e si rendeva conto di non avere alcun metodo per affrontarla, se non ignorandola. Ma ora qualcosa era cambiato. La realtà dei fatti cominciava a imporsi sulle sue percezioni. Cominciava a diventare vera.

Quando rientrò nello studio, i confini familiari della sala d’attesa e la luce fioca delle lampade la riconfortarono. Corse a rispondere al telefono senza neanche togliersi la giacca. 

Era stata la prima tra i suoi amici a iniziare a lavorare, a fare il mutuo e la vita da “adulta”. Anche prima di Elena, che invece aveva fatto l’università. Ma la sorella era quella dotata, quella su cui tutta la famiglia puntava. Adelaide invece si era accontentata di una professione qualunque, tutto pur di partire al più presto dalla casa dei suoi genitori. 

Aveva smesso da tempo di chiedersi cosa sarebbe successo se avesse fatto scelte differenti. Non poteva neanche lamentarsi del tutto, aveva comunque avuto le sue soddisfazioni. 

“L’importante è imparare dai nostri errori” le aveva detto una mattina Fabrizio, appoggiato sul balcone della sua casa di ringhiera, ancora in mutande e accappatoio. Da lì era rimasto a guardare i tetti rossi e squadrati che contornavano un cielo impassibile. 

“È proprio brutta questa città” aveva replicato lei, avvolta nel tepore delle coperte, la luce del comodino già accesa perché il sole sembrava non essere mai sorto. 

“A me piace proprio per questo”. 

Forse si era innamorata di Fabrizio perché sapeva guardare al di là delle apparenze, forse perché entrambi opponevano alla frenesia collettiva un’assoluta mancanza di ambizioni. E poi lo amava perché era stato semplice, perché lo aveva capito subito, dal primo giorno che si erano conosciuti, che avrebbe potuto fare di lui quello che voleva, che era già suo nel momento stesso in cui si erano incontrati. 

“Ti senti bene, Adelaide?”. 

L’avvocato la stava fissando dietro i suoi grossi occhiali spessi, senza che lei se ne fosse accorta.

“Mi sembri un po’ pallida”.

Lei si alzò per andare in bagno a sciacquarsi la faccia. Si osservò allo specchio con il viso ancora gocciolante. Da quando sapeva, osservava i suoi seni con uno sguardo diverso. Se li toccava anche, come se fino ad allora non erano state che due sporgenze estranee, applicate casualmente al suo corpo. Non erano troppo grandi, ma erano ancora sodi e tanti uomini le avevano detto che erano belli. Lei prendeva il complimento come se non la riguardasse personalmente. Non dipendeva da lei, come non dipendeva da lei la forma del suo corpo, la sua malattia, i pensieri che sonnecchiavano nella sua testa. O forse sì?

Avrebbe voluto chiederlo a Fabrizio, ma ormai non si sentivano più da anni. Lo aveva lasciato lei, perché la differenza di età era troppa. Non si era pentita, no, ma ogni tanto le mancava.

Una cliente fece scattare la porta del bagno e Adelaide spostò rapidamente la mano che aveva poggiato sul seno sotto al getto d’acqua fredda. Non si sentiva per niente cambiata da quando era bambina. Sì, le circostanze esterne erano cambiate, il suo corpo senz’altro, eppure lei affrontava la sua vita nello stesso identico modo, completamente alla sprovvista.

Pensava ancora che, quando non si sapeva che direzione prendere, era meglio aspettare che qualcosa succedesse da sola. Fabrizio la prendeva in giro per questa teoria, ma lei gli rispondeva che era solo saggezza.

“E poi, a furia di aspettare, diventa troppo tardi” replicava lui. 

All’epoca, lei non capiva che cosa volesse dire. Lo capiva teoricamente, sì, ma non era la stessa cosa.

“Ce ne si accorge solo quando è troppo tardi, che è troppo tardi” aveva detto quella sera al suo cavaliere, che aveva aspettato per quasi mezz’ora nel bar di un hotel lussuoso vicino alla Stazione. Era riuscita a liberarsi dalla madre abbastanza rapidamente, accludendo come scusa che era stanca. 

L’uomo aveva riso senza prenderla sul serio. Era un tipo belloccio, di circa cinquant’anni, si chiamava Bruno. Le foto sul sito internet erano abbastanza fedeli: lui sulla barca a vela a torso nudo, lui abbracciato al suo grande labrador, lui con un drink in mano in un completo elegante. Si era specializzata in quella categoria di uomini, per la maggior parte divorziati, perché sapevano essere ben educati e galanti anche se non gliene fregava niente. Sapevano giocare la loro parte, ed era la cosa più importante in questi incontri artificiali, in cui nessuno dei due cercava verità o risposte a qualcosa. 

Bevvero un drink insieme e poi lui la portò in una camera che aveva già prenotato. 

“Perché ti sei iscritta a un sito del genere?” le aveva chiesto, come glielo chiedevano tutti, o quasi.

“Perché è più divertente”.

“Non ti rivedi mai con i tuoi appuntamenti?”.

“Dipende, ma mai troppo a lungo”.

La tappezzeria della stanza era di una seta giallastra. Una grossa stampa riproduceva in bianco e nero “L’Ultima Cena” di Leonardo da Vinci.

“Il simbolo di Milano” aveva commentato lui, notando lo sguardo di lei fisso sul quadro, mentre si toglieva il cappotto. 

“Dovrebbe essere l’ultimo aperitivo” disse Adelaide, per fare una battuta. 

“Sei una donna spiritosa” rispose lui e le offrì una coppa di champagne.

“È la mia arma di sopravvivenza”.

Si baciarono e fecero l’amore. Quando era tra le braccia di un uomo, non importava chi, i pensieri angoscianti non potevano tornare. 

Immaginò di essere con Fabrizio. Si sforzò di ricordare la sensazione che provava, ma i ricordi e le troppe scopate successive avevano reso tutto pallido e confuso. 

Quando ebbero finito, rimasero a letto in silenzio, la testa di lei sul petto di lui.

Adelaide sussurrò: “Ho un cancro alla mammella sinistra”.

Bruno restò qualche attimo immobile, poi si girò. 

“Proprio qui, sopra al cuore” indicò lei.

L’uomo emise un sospiro e la abbracciò forte. Sonnecchiarono così per un altro po’, poi Bruno si preparò per andare.

Di solito si finiva prima di mezzanotte e ognuno ritornava a casa sua. Ma quella volta, Adelaide decise di rimanere a dormire nell’albergo, per cambiare. Sentì che era una giornata speciale, come se fosse il suo compleanno, e che si meritava qualche lusso. Non era certo stato merito suo di nascere, ma in qualche modo aveva fatto comunque lo sforzo. 

Non riuscì ad addormentarsi. Si mise ad osservare i vecchi palazzi muti al di là della finestra, sovrastati dai giovani grattacieli che ammiccavano alla notte senza stelle. 

“È proprio brutta Milano” sussurrò tra sé e sé, e si mise a ridere.

Novembre 2023

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