Maria Teresa Mauri

Tric trac el diavul in tel me balzac

ANNO 01 | NUMERO 02 | DIC 2022

* Tric trac il diavolo nella mia bisaccia

La mia era una tipica famiglia piccolo borghese: mio padre faceva il ragioniere, lavorava per mantenerci e anche se un po’ di soldi in più ci avrebbero fatto comodo, voleva che mia madre si dedicasse solo alla famiglia e ai figli. Ero già la seconda e a breve saremmo diventati tre.

All’inizio degli anni Sessanta avevo circa sette anni quando iniziò la crisi matrimoniale dei miei. Ero una bambina allegra anche se non si capisce bene di cosa dovessi rallegrarmi: genitori in crisi, madre depressa, padre autoritario, fratello maggiore geloso che mi tormentava, fratello minore che mi veniva accollato in quanto femmina. Non che a scuola andasse meglio: la mia maestra era una megera, rigida, incapace di un gesto affettuoso, incline alla violenza psicologica e alle punizioni corporali. Cosa c’era da essere contenti? Eppure, se guardo le foto dell’epoca, non ce n’è una in cui io non sfoggi un sorriso radioso.

Per fortuna c’era il nonno materno, il mio compagno di giochi preferito. Con lui mi divertivo sempre e ridevamo insieme. Gli piaceva declamare poesie celebri e versetti della Divina Commedia che arricchiva con la sua mimica. Memorabili le interpretazioni del Conte Ugolino che rosicchia il cranio dell’Arcivescovo Ruggieri e del diavolo Barbariccia che “…del cul avea fatto trombetta!”. Riusciva a farmi ridere così tanto che mi veniva il mal di pancia e a volte faticavo persino a trattenere la pipì.   Mi raccontava una storia che mi piaceva un sacco, se l’era inventata lui e l’avevamo intitolata “Tric trac el Diavul in tel me balzac!”

“Dai, nonno, mi racconti la storia del Diavolo?”

“C’era una volta Gesù che camminava da solo lungo i sentieri della Palestina per evangelizzare le genti e fare proseliti” raccontava il nonno. “Il Diavolo cercava in tutti i modi di tentarlo o minacciarlo. Ogni volta cambiava forma: un giorno si trasformava in un serpente sibilante, un altro appariva come uno scorpione, un altro ancora era un brigante ma Gesù riusciva sempre a scampare alle minacce e superare le prove. Un giorno incontrò il Diavolo, che lo voleva imbrogliare, travestito da viandante.” 

“Ti prego, mi hanno derubato, mi stanno inseguendo, aiutami!” implorava il Diavolo facendo finta di piangere.

Il nonno era un bravo attore, raccontava facendo smorfie e voci diverse, mimando le azioni di tutti i personaggi. Lo guardavo rapita, catturava la mia immaginazione. Mi sembrava di essere dentro la storia, di camminare nella sabbia del deserto con Gesù, sentivo il sibilo del serpente e la minaccia dello scorpione. Ero lì anch’io, ero una spettatrice invisibile. Avrei voluto avvisare Gesù del pericolo ma non potevo, non facevo parte della storia.

“Non preoccuparti, buon uomo, ci penso io. Conto fino a tre, dico

la formula magica e ti faccio entrare nella mia bisaccia. Così ti nascondi e non ti possono trovare,” recitò il nonno rivolto al viandante.

Così dicendo mi strizzava l’occhio per farmi capire che Gesù era più scaltro del Diavolo, non si sarebbe fatto imbrogliare dal finto viandante.

Tutta eccitata non riuscivo a stare ferma, sentivo i frizzi nella pancia, mi tormentavo le mani, faticavo a stare in silenzio. Non dovevo mettere in allarme il Diavolo.

“Un, due e tre: tric trac el Diavul in tel me balzac!” Con un gesto rapido il nonno mi faceva capire che Gesù aveva catturato il Diavolo e lo aveva messo nella bisaccia. Quello scatto improvviso ogni volta mi faceva sobbalzare con una risata un po’ isterica di paura. Lui chiudeva la borsa, si sfregava le mani e mimava Gesù che proseguiva il cammino soddisfatto. Fingeva di suonare un flautino, io ridevo, questa volta di gioia, battevo le mani e gli saltellavo intorno.

Non appena finita la storia subito imploravo il nonno di raccontarla un’altra volta. Se per caso cambiava qualche passaggio o qualche parola, lo riprendevo: “Dai, nonno, non era così!” La volevo sempre uguale, non mi stancava mai. Mi piaceva sentire la tensione che aumentava, il pericolo del Diavolo che si avvicinava. Ogni volta ci credevo davvero. Quando la storia arrivava al punto in cui Gesù catturava il Diavolo con la formula magica, riuscivo sempre a trasalire per la sorpresa e lo spavento. Sotto sotto, però, sapevo che sarebbe finita bene, che il Diavolo sarebbe stato sconfitto. “Poverino, gli va sempre male!” pensavo a volte “No, è giusto! Lui è cattivo, è fatto così. Non è capace di cambiare,” mi dicevo.

Questo Diavolo, un po’ tonto e un po’ sfigato, in fondo non mi faceva paura. Non avevo ancora fatto la conoscenza di altri diavoli. Ci pensarono la nonna a casa e le suore al catechismo a presentarmelo con tutta la dotazione classica: mezzo uomo e mezza bestia, con le corna da ariete, le ali da pipistrello, le zampe caprine e gli occhi iniettati di sangue.

“Dove vive il Diavolo?” chiedevo.

“Nell’Inferno” mi dicevano.

“E dov’è l’Inferno” insistevo.

“Sotto, giù giù in fondo, al centro della terra dove ci sono le fiamme e il fuoco eterno,” concludevano minacciose le suore.

Non ero molto convinta. Come San Tommaso, avrei voluto delle prove più concrete. Ma, del resto, nel dubbio meglio esser cauti, non si sa mai. 

Non so che problema avessero la nonna e le suore, non volevano che giocassi con i maschi. Con loro mi divertivo di più e mi piaceva andare in bicicletta e giocare a palla. La nonna elogiava sempre la figlia di una sua vicina di casa che invece era una donnina, me la portava a esempio, ai miei occhi diventava più antipatica di quanto già non fosse. Ero gelosa di quella smorfiosetta, così cercai di emularla per avere l’approvazione della nonna. Per un po’ provai a imparare il ricamo e a lavorare ad uncinetto, ma presto lasciai perdere: grande fatica e poca soddisfazione. 

L’unica cosa che mi piaceva fare con le stoffe e i nastri della nonna era agghindarmi come una ballerina e sfilare davanti al grande specchio della sala. Quando la nonna mi vedeva, mi sgridava per la mia vanità:

“Non guardarti troppo, dietro lo specchio si nasconde il Diavolo, ti spia. Se stai troppo davanti allo specchio Lui esce e ti porta via.” Era inquietante. 

Mi spaventava l’idea che il Diavolo mi spiasse e potesse saltare fuori all’improvviso. Controllavo sempre dietro lo specchio prima di guardarmi, non si sa mai! “Veramente non conosco nessuno che sia sparito portato via dal Diavolo,” mi dicevo “e di compagne più vanitose di me ce ne sono un sacco.” Però quel pensiero non bastava a tranquillizzarmi. “Come fa il Diavolo ad essere dietro a tutti gli specchi di tutti i vanitosi?” mi chiedevo. Non è che proprio ci credessi ma il dubbio ormai si era insinuato nei miei pensieri. 

Le suore invece ci dicevano che quando nasciamo ognuno di noi ha un angelo custode che è sempre pronto ad aiutarci e a salvarci dai pericoli. Me lo immaginavo come la fatina Trilly di Peter Pan. Non facevo in tempo a rasserenarmi un po’ all’idea, che le suore spiegavano come l’angelo custode sia sulla spalla destra mentre sulla sinistra c’è un diavoletto. L’angelo ci da i consigli per essere buoni, il diavoletto ci spinge a fare le cose brutte. Noi dobbiamo decidere chi ascoltare. Se ascoltiamo l’angelo e ci comportiamo bene quando moriremo andremo in Paradiso, se invece ascoltiamo il diavoletto e ci comportiamo male andremo all’Inferno.

“Ma non possono litigare e fare a botte tra loro così la risolvono senza mettere in mezzo me?” mi chiedevo. “E se poi vince il Diavolo? Forse non è una buona soluzione, meglio di no,” conclusi. Mi rassegnai all’idea di confessarmi ogni domenica per mettermi al riparo dai peccati che di sicuro il mio Diavolo tentatore mi avrebbe fatto commettere.

In materia di peccati, le suore erano delle abili terroriste: ogni cosa desiderabile era potenzialmente peccaminosa. Per ogni peccato c’era la giusta punizione, lo vedevo nelle illustrazioni dei gironi dell’inferno nei libri di catechismo. Osservavo quelle immagini di anime dannate con un misto di orrore e morbosa curiosità. Visto che i peccati venivano così duramente puniti, volevo capire quali fossero esattamente. Feci l’errore di chiedere a suor Osvalda. 

Era una suora che ci faceva catechismo all’oratorio: alta, magra, segaligna, viso ossuto, guance scavate, occhi di un grigio spento, senza sopracciglia. Aveva dei peli grigi che le spuntavano dalle narici. Indossava la tonaca nera con la pettorina bianca, in testa portava un copricapo bianco con due grandi falde laterali svolazzanti. “Come faranno a stare su quelle ali?” mi chiedevo. 

“Quali sono i peccati?” chiesi a suor Osvalda.

“Sono i sette peccati capitali e quello più grave è la superbia,

quello che hanno commesso Adamo ed Eva nel paradiso terrestre quando Eva ha mangiato la mela che Lucifero, sotto forma di serpente, le aveva dato,” disse con solennità.

“E quali sono gli altri?” insistetti.

“L’invidia, la lussuria, la gola, l’accidia, l’ira e l’avarizia.”

“Come mai Adamo ed Eva sono stati così duramente puniti solo per aver mangiato una mela?” mi chiedevo “Sì, va bene, avevano disubbidito a Dio, ma io quando disubbidivo ai miei genitori mica mi cacciavano da casa! Poi di solito, se chiedevo scusa, mi perdonavano e me la cavavo con qualche punizione,” pensavo.

Poi c’erano tutti gli altri peccati. Di alcuni non capivo proprio la parola, come l’accidia o la lussuria, cosa erano? Boh! Gli unici peccati che sapevo di commettere erano la gola e l’invidia. Gli altri erano cose che facevano i grandi: l’ira erano i miei genitori quando litigavano e l’avarizia era la nonna che non voleva mai spendere soldi.

Un giorno chiesi alla mamma: “Che cosa è un peccato? Come lo riconosco?”

“Hai presente quando compri un bel cono gelato, stai per

mangiarlo e ti cade per terra?” mi chiese.

“Certo!” mi era successo diverse volte.

“Ecco, quando succede cosa dici?”

“Nooo, accidenti, che peccato!” Mentre lo dicevo mi illuminai.

 “Ecco, vedi? Quello è un peccato!” concluse la mamma.

La pesantezza di suor Osvalda e dei suoi peccati capitali svanì come la polvere sui mobili di casa quando la mamma la faceva volar via col piumino.

Non so se come spiegazione avrebbe convinto suor Osvalda. Di certo aveva aiutato me a mettere il Diavolo nella mia bisaccia. Proprio come faceva il nonno, si vede che era una dote di famiglia.

Dicembre 2022

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