Quand’ero distratto avevo ancora quattordici anni, avevo ancora diciannove anni, avevo ancora ventidue anni. Non avevo imparato niente sull’amore E camminavo e parlavo, con incoscienza. Roma, dietro le rughe, mi ha riconosciuto E non mi ha avvertito. Quand’ero gradevole era notte in periferia E mi dondolavo tra l’immondizia Sperando di sfiorarti la mano prima di entrare a casa. Non era mai esistito un domani, attraverso mille tubature mi disperdevo. Adesso dov’è che sono andato a finire? Quand’ero vivo non ci pensavo alla vita Né alla mia, né alla tua. Pensavo alle parole dei libri, a certi suoni, alla carne, la tua e la mia. Neanche un attimo all’ombra che lasciano quelle parole Dentro di me mentre le dico a te. Quand’ero verbo mi modellavo con quei libri, e lì cercavo altre parole, altri suoni, altra carne. Tutte cose che tu avevi già negli occhi. E camminavo e parlavo, con incoscienza. Roma, dietro le rughe, mi ha riconosciuto E non mi ha avvertito.
Quand’ero incauto ero nudo e ti abbracciavo. E tu, pur se nuda, ti scostavi. Separavi la materia dallo spirito, la notte dalla mattina; o più semplicemente continuavi la rincorsa, chissà se inseguita o alla ricerca dell’espiazione per ciò che sono mentre lo ero.