FRANCESCO PISCITELLO

Comunismo à la carte

ANNO 01 | NUMERO 04 | FEB 2023

Pasquale stava usando una pentola per cucinare. Pasquale era uno studente universitario del primo anno: era il suo primo giorno nel dormitorio per studenti universitari, dove avrebbe abitato. La sua camera era al quarto piano e tutto il piano aveva una cucina in comune. Pasquale non aveva una pentola, non l’aveva ancora comprata. Ma doveva mangiare in qualche modo l’unico mezzo pacco di pasta che aveva, che era anche l’unica cosa commestibile in suo possesso, insieme all’olio con cui l’avrebbe annaffiata. Così si era impadronito della pentola che aveva trovato incustodita sul piano cottura, ovviamente con la nobile intenzione di lavarla a dovere e rimetterla dove l’aveva trovata dopo averla usata. 

Ma mentre l’acqua iniziava a bollire era entrato un altro studente universitario, Giacomo. E Giacomo aveva guardato la pentola, poi Pasquale, poi la pentola, poi Pasquale. E il suo sguardo era lo sguardo dell’infastidito, per non dire quasi del disgustato. Pasquale, che era un timido per natura, era impallidito, intuendo subito di trovarsi davanti al legittimo proprietario dell’utensile ormai irrimediabilmente sporco dell’acqua di un non legittimo proprietario. 

Dopo un silenzio imbarazzato, Giacomo disse: “Quella pentola è mia” e indicò la pentola. Lo disse sgranando gli occhi e grattandosi la nuca. Subito aggiunse: “Ma la puoi usare, tranquillo”.

Pasquale era tutto rosso e grondava sudore e di certo non aiutava tutto il vapore acqueo sparato in faccia. 

“N n n n no, tranquillo, te la restituisco subito” disse. E stava per prenderla dai manici e buttare l’acqua bollente nel lavandino. 

“Fermo fermo” disse Giacomo. E lo fermò afferrandogli le mani. “Usala pure”.

“Ma no, davvero, ne ne ne cerco un’altra”.

“Non c’è bisogno, non mi serve la pentola. Usala pure”.

“Va bene, grazie, davvero”.

“L’importante è che la lavi dopo”.

“Certo certo, la lavo. Scusa se l’ho presa, ma l’ho trovata qui e…”.

“Non ti scusare, non fa niente. Figurati”.

Pasquale ora aspettava che la pasta fosse pronta, mentre Giacomo era seduto e muoveva gli occhi dal suo cellulare e di nuovo dalla pentola a Pasquale e da Pasquale alla pentola. 

Pasquale era sempre più nervoso e imbarazzato e implorava la pasta di fare presto a cuocersi e di tirarlo fuori da quel maelstrom di disprezzo che gli si stava formando intorno. 

Finalmente scolò la pasta e in quell’esatto momento inorridì perché si accorse di non avere un piatto. Senza piatto avrebbe dovuto mangiare nella pentola, ma non poteva mangiare nella pentola che adesso voleva soltanto restituire il più presto possibile al legittimo proprietario. Allora si mise a cercare un piatto come un forsennato dentro ai cassetti e mise sottosopra la cucina davanti a un Giacomo impassibile che non fiatava e quasi faceva finta di non accorgersi del casino prodotto dal ladro di pentole. Pasquale riuscì finalmente a trovare un piatto e subito travasò la pasta dalla pentola al piatto. Abbandonò la pasta nel piatto e si mise a lavare la pentola prima ancora di mangiare. La lavò da lavapiatti professionista, insaponando e risciacquando almeno quindici volte. La asciugò e la riconsegnò a Giacomo, che disse: “Non c’era bisogno di lavarla subito, grazie comunque”.

Pasquale sorrise e si sedette per mangiare la pasta, che però era diventata fredda. Ma nell’istante in cui la forchetta (forchetta che aveva trovato sopra al piatto) era a mezz’aria, pronta a introdurre nutrimento nella sua bocca spalancata e famelica, una ragazza, all’anagrafe Fabiola Maria, aprì la porta. E Fabiola Maria li salutò e si fermò in mezzo alla stanza, osservando il piatto ricolmo di pasta fredda e la forchetta sospesa. E Pasquale, in preda al terrore causato dal presentimento che in un attimo si trasformava in realtà, intuì di avere fatto il bis. 

“Quel piatto è mio” disse Fabiola Maria. Pasquale diventò una fornace, mentre Giacomo sollevò gli occhi dal suo cellulare e sospirò. 

“Scusa, davvero scusa” disse Pasquale, “l’ho trovato lì e non ne avevo uno e non sapevo come fare per mangiare e e e…”.

“Non preoccuparti” disse Fabiola Maria. E mostrò i denti bianchissimi. “Non fa niente, non mi serve”.

“No…ma…posso lavartelo…subito…davvero”. E si stava per alzare e dirigere verso il lavandino, ma la mano di Fabiola si posò sulla sua spalla e lo spinse sulla sedia. “Usalo senza problemi” disse.

Pasquale la ringraziò e di nuovo impugnò la forchetta per cibarsi, continuando a bruciare. Ma si aprì ancora la porta e entrò un’altra ragazza, Gioia. Gioia teneva in braccio una pentola e una padella e disse a Fabiola Maria: “Mettiamoci al lavoro”. Avrebbero dovuto cucinare insieme. 

Gioia fece subito presente che si frapponeva un evidente ostacolo tra la preparazione della ricetta e la possibilità di concluderla al meglio: l’assenza di un piatto. “Ci serve un piatto” disse Gioia. E immediatamente Fabiola Maria si girò verso Pasquale e squadrò lui e il piatto e Gioia fece lo stesso e anche Giacomo, che sogghignava.

“Ve lo lavo subito” disse Pasquale scattando in piedi. E stava per svenire dall’imbarazzo e dalla repulsione verso se stesso e dalla sua incredibile stupidità nel non aver pensato a stoviglie-dotarsi in tempo. Ma prima di lavarlo Pasquale doveva trovare un altro contenitore per la sua pasta appiccicaticcia e iniziò a rovistare come un ossesso tra i cassetti finché non si imbatté in una piccola scodella che afferrò disperatamente e in cui subito riversò la pasta appiccicaticcia, ma era così impacciato e si sentiva lo sguardo addosso di tutti i presenti e le mani gli tremavano così tanto che fece cadere metà della pasta appiccicaticcia a terra. Fece finta di niente, come fecero finta di niente gli spettatori, e subito mise da parte la scodella e prese il piatto e lo piazzò sotto al lavandino e iniziò a insaponarlo e a raschiarlo con la spugna. E mentre lo faceva, Fabiola Maria, con un minuto di ritardo, disse: “Oddio, ti è caduta tutta la pasta a terra. Adesso mi sento così in colpa. Non dovevi disturbarti, potevi continuare a usare il mio piatto”.

E Pasquale roteò la testa verso di lei senza smettere di sfregare il suo piatto e le disse Figurati, muovendo delle labbra che imploravano per avere dell’acqua all’istante. Finì di lavare il piatto, lo asciugò e lo consegnò alla legittima proprietaria, legittima proprietaria che disse Grazie mille.

Pasquale prese la scodella con metà dell’originaria pasta fredda e appiccicaticcia e si sedette di nuovo, implorando un Essere superiore qualsiasi di permettergli di infilare qualcosa nello stomaco, per quanto poco appetibile potesse risultare. L’Essere superiore lo accontentò e poté finire di cenare. Insaponò scrupolosamente la scodella e la sistemò dove l’aveva trovata, in attesa che il suo padrone se ne servisse.

Febbraio 2023

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