Aurora Tamigio

Loop

ANNO 01 | NUMERO 04 | FEB 2023

Serena si immerge nell’acqua calda e profumata di bagnoschiuma. Pietro dorme profondamente, ma anche se avesse scelto un metodo più rumoroso, non si sarebbe svegliato lo stesso: sono notti che resta sveglio ed è ora che si riposi un po’. Mentre allunga le gambe nella vasca da bagno, Serena ha un ninnananna nella testa che canticchia tanto per non farsi prendere dal panico. Ingoia un paio di quei sonniferi che Pietro le prescrive per dormire: non sono niente di che – dice – niente di pesante, non preoccuparti, solo un aiuto per prendere sonno. E infatti ci mette pochi minuti ad affondare con le orecchie in acqua, la spuma sotto il naso, nananana sulle labbra fino a non sentire più niente nella testa. 

Sembra una cosa difficile uccidersi, ma non è così. Quando te lo raccontano, quando lo vedi nei film e lo leggi nei libri, sembra ci sia qualcuno che debba venire a impedirtelo, sembra che la gente sia lì solo per impedirti di ucciderti. Non è vero niente: la maggior parte del tempo, Serena è sola e gli incubi arrivano puntuali tutte le notti. All’inizio, è bello: un uomo, con gli occhi celesti, la accarezza; ma la pelle, proprio dove viene sfiorata, tutto d’un tratto inizia a prendere fuoco e brucia e fa malissimo. Ogni parte si stacca in pezzi, il corpo si sgretola ai piedi del ragazzo dagli occhi blu, come legno marcio. Serena aspetta che il sogno scompaia e, mentre si vede annerire e polverizzare, il terrore le brucia anche la gola. Così inizia a gridare. Quando apre le palpebre, gli occhi azzurri sono quelli di Pietro. Lei non dice mai no, nemmeno se è dolorante da non potersi muovere. Sotto il mento di Serena c’è una cicatrice, una ferita che non è stata ricucita bene: Pietro non è portato per le suture e, a dire il vero, ha anche paura degli aghi, ma queste cose si aspetta che lei non le racconti mai a nessuno. 

Tutti le dicono sempre: ma vattene, perché non te ne vai, certo che poi ogni volta va a finire così, se non te ne vai. E così Serena una mattina parcheggia l’auto all’ombra in una via alberata, alza gli occhi a guardare il palazzo: ci sono piante che si arrampicano sulla facciata e tanti balconi di ferro alternati a piccole terrazze di cemento. All’ingresso c’è un ascensore, sulla destra, ma Serena lo ignora e punta dritta alle scale: sei rampe, che sale come se niente fosse, mentre Pietro avrebbe il fiatone dopo il primo piano e forse è per questo che la casa va bene. L’appartamento è un’unica grande stanza con un piccolo angolo cottura ma niente tavolo e niente sedie; un materasso ricoperto di lenzuola arancioni è illuminato da una grande finestra: una volta comprati i mobili, non sarà più così squallido. Pietro rimane impalato dove l’ombra della tapparella taglia il parquet a strisce. Siediti, che faccio un caffè. Lo prendiamo a casa il caffè, a casa nostra dico. Si pente di non essere rimasta, di non avere comprato i mobili, ogni volta che Pietro la raccoglie da terra, sanguinante e sfilacciata. Lui le medica le ferite, le dà certe pillole per dormire, si batte il petto chiamandosi il peggiore degli uomini e promette che prima o si ucciderà, ma Serena non pensa dica sul serio, altrimenti l’avrebbe già fatto. Non è ancora un medico, ma alla laurea manca poco: lo ripete, forse per tranquillizzarla, ogni volta che la spoglia ed esamina come un pezzo di carne appeso. Quando si sporge per sistemarle il cuscino dietro la schiena, profuma di sapone e vestiti puliti. Dovresti fare colazione, ieri non hai cenato. Serena non vuole mangiare a letto, come una malata, ma ogni movimento le costa fatica. Così dice no e ancora no e Pietro alza gli occhi al cielo, come con i bambini che fanno i capricci: almeno un bagno, te lo vuoi fare? Ti appoggi a me e, piano piano, ti aiuto a infilarti nella vasca. Brava, così, fai da sola: prima una gamba e poi l’altra. Oltre la spalla di Pietro, sullo specchio, Serena incrocia il proprio riflesso. Di solito, evita di colpirla in faccia: non è uno stupido, dice sempre. Tu sei la stupida, stupida e puttana, a che cosa mi servi? Penso a tutto io, studio e lavoro, non ti faccio mancare niente e tu sai solo lamentarti. Ma certe sere si arrabbia più di altre e si dimentica di non essere stupido. Oggi sembra che l’abbia scucita e ricucita a casaccio: c’è un ematoma viola su tutta la mandibola, un taglio sul labbro, sbucciature rossastre sulla guancia e un cerotto cicatrizzante a chiudere il sopracciglio. Bella come Pietro non lo è stata mai, ma adesso le sembra ridicolo frignare per questo: tra tutti i buoni motivi per piangere seduta sul bordo della vasca da bagno, questo è il più vergognoso.

Febbraio 2023

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