ROsalia Messina

Tuo figlio, cioè

ANNO 01 | NUMERO 04 | FEB 2023

Una notte di novembre me la trovai sul pianerottolo di casa, seduta su una valigia malandata. 

«Tu chi sei?» mi apostrofò, brusca, dopo avere sbattuto le palpebre un paio di volte.

Mi venne da ridere, ma aveva l’aria così stanca e spaesata e infreddolita che non volli infierire chiedendole chi fosse lei e cosa facesse seduta per terra, davanti alla porta di casa mia, alle due di notte.

«Abito qui.» 

«Ma non sei Giuliano!»

Cominciai a capire. Chissà a che ora era arrivata, pensai, chissà da quanto, dopo avere suonato invano il campanello, stava lì ad aspettare Giuliano.

«No, Giuliano è via per qualche mese. Al momento occupo io l’appartamento, il mio è in ristrutturazione» spiegai. «Su, entra. Sei qui da tanto?»

Sembrò sul punto di piangere. Si alzò, vacillò un momento. Mi venne voglia di prenderla in braccio. Era così giovane, magra, le occhiaie viola, una tuta blu che doveva essere stata indossata per giorni, scarpe da tennis sdrucite e di un colore ormai indefinibile: mi fece pensare alla piccola fiammiferaia della fiaba, anche se non era Natale e non c’era la neve.

«Come ti chiami?» chiese, mentre prendevo la valigia con la sinistra e con la destra aprivo la porta.

«Remo, e tu?»

«Carola» mormorò.

Mi seguì, guardandosi intorno.

«Giuliano non ti ha parlato di me?»

«Non mi pare» risposi. Ero sicuro di non averla mai sentita nominare. 

«E dov’è adesso, lui?»

Presi tempo, parlai d’altro: non sapevo neppure se fosse il caso di darle informazioni, di spiegarle che da qualche mese Giuliano abitava a Parigi, a casa di una certa Marie-Laure conosciuta in vacanza. L’ultima volta che l’avevo sentito, nei suoi programmi non c’era un ritorno in Italia. Non a breve.

Avrei voluto chiederle cosa significasse Giuliano per lei, ma non mi sembrò il momento. 

«Vuoi farti una doccia, mentre preparo qualcosa da mangiare?»

«Mangiare? A quest’ora?» chiese, con gli occhi spalancati. 

«Io non mangio dalle tre di pomeriggio. Non vuoi farmi compagnia?»

E d’improvviso rise. Una risata squillante, piena. 

«Ma sì, dai. Io non mi ricordo quando è stata l’ultima volta che ho messo qualcosa sotto i denti.»

«La casa offre spaghetti pomodoro e basilico, cotolette già panate che devo solo friggere, insalata di finocchi e arance.»

«Hai sempre tutta ’sta roba da mangiare?»

«Mi piace sfamare il prossimo; per esempio mio figlio, quando arriva a sorpresa».

«Serve una mano? Sono scarsissima in cucina. Ah, senti, io non ce la faccio a mandare giù tutto. Mangio l’insalata. Oppure la pasta.»

«Ai fornelli mi piace stare da solo, ma grazie. Su, vieni, ti do un telo da bagno. Fra una mezz’ora sarà in tavola.»

Mi guardò storto.

«Puzzo?» chiese, seguendomi nel corridoio.

«Puzzi di stanchezza, di viaggio durato a lungo.» 

Le porsi gli asciugamani che tenevo da parte per gli ospiti, aprii la porta del bagno, accesi la luce e la lasciai sola.

Preparai per due, in abbondanza, tutte le pietanze che avevo elencato. Quando tornò in cucina, stavo condendo l’insalata. Era avvolta nel telo da bagno, in testa un asciugamano a mo’ di turbante.

«Mi puoi prestare qualcosa di pulito? In valigia ho solo roba sporca.» 

«Qualcosa troveremo, ma ti starà enorme.»

«Senti… non è che magari posso restare qualche giorno?» chiese, guardando in basso, mentre rovistavo nei cassetti scartando un capo dopo l’altro. «Il tempo di fare il bucato, di trovare un lavoro…»

«Ah, guarda! C’è un pigiama di Damiano. Ti starà grande, ma non come la roba mia.»

«Tuo figlio, cioè?»

«Mio figlio, cioè» la canzonai. «Per la biancheria intima non posso aiutarti.»

«Eh, come sei borghese. Si può vivere senza biancheria.»

«Cambiati, madamigella. Sono uno splendido cinquantenne e alla mia età la rivoluzione non passa per le mutande.»

«Parli come Giuliano» disse, con voce dura. «Io di anni ne ho venticinque e alla mia età non servono aggettivi.»

«Hai l’età di mio figlio cioè. E hai ragione, sugli aggettivi.» 

Le porsi il pigiama e tornai in cucina.

Mi raggiunse dopo un po’, le maniche arrotolate fino al gomito, i calzoni rimboccati. Aveva liberato i capelli, di un bel castano scuro dai riflessi dorati, che adesso, umidi e lucenti, le ricadevano sulle spalle. 

Non parlammo molto. Nonostante avesse dichiarato di non avere appetito, non protestò per il piatto colmo di spaghetti, che divorò, come pure la cotoletta e l’insalata. 

«Allora, posso restare un po’? Non ti darò fastidio» disse, quando ebbe finito, guardandomi dritto negli occhi.

«Non so nulla di te, Carola» risposi. Feci una pausa, un po’ per riflettere, un po’ perché ho imparato che le pause danno modo all’interlocutore di predisporsi ad ascoltare con attenzione. «Diciamo che, dato che sei amica di Giuliano, puoi fermarti qualche giorno. Patti chiari: non si fuma in casa, non si ascolta musica ad alto volume, chi sporca il bagno o la cucina pulisce. Cucino soltanto io. La cosa più importante: qui non devi far venire nessuno.»

Risi, per stemperare. Lei no, mi guardò seria.

«Ho avuto una storia con Giuliano, l’anno scorso. Poi mi sono innamorata di uno stronzo e per colpa sua ho perso pure il lavoro. Stasera non sapevo dove andare.»

«Ma non hai pensato di chiamare Giuliano, prima di venire qui?»

«Il numero che ho io non è più attivo.»

Annuii. Giuliano è bravissimo a dileguarsi. 

«La tua famiglia?»

Alzò le spalle e distolse lo sguardo. Non volli insistere.

Le preparai il letto nella stanzetta che a volte avevo occupato quando, in crisi con Marcella prima che ci separassimo, mi rifugiavo da Giuliano. Le diedi uno spazzolino da denti nuovo e mi apprestai ad andare a dormire.

«La mattina esco a volte presto, a volte tardi. Lavoro in un giornale. Domani andrò via verso mezzogiorno: se non ti vedo in giro, non ti sveglio. Va bene?»

Si avvicinò e mi abbracciò. Le diedi un paio di pacche amichevoli sulle spalle, come a volte facevo con Damiano. 

Le comprai tre magliette di cotone, un paio di jeans e della biancheria. Dopo una decina di giorni non era ancora andata via e non aveva più parlato di un lavoro. 

Si erano create le piccole abitudini della coabitazione: mi dava una mano nei lavori domestici, chiacchieravamo, soprattutto a tavola; la sera vedevamo un film o una serie in tv. 

Rincasavo pensando a lei, al cibo che avrei preparato per mangiarlo insieme. Si saziava presto, già con una portata, ma altrettanto in fretta le veniva di nuovo fame. Piluccava spesso, però non lasciava briciole in giro e stoviglie sporche nel lavello. Imparai a conoscerne i gusti: i primi piatti erano i suoi preferiti; non amava il pesce, sopportava la carne, adorava le uova, i formaggi, i vegetali. Quando preparavo i pomodori gratinati emetteva gridolini di gioia. La verdura lessa non l’entusiasmava, però la mangiava con l’espressione della brava bimba che vuole comportarsi bene. La frutta, per lei, si riduceva agli agrumi. Rifiutava mele, pere e banane con una smorfia involontaria. Dimenticando che era solo un’ospite temporanea, cercavo di immaginarla alle prese con la frutta estiva. Avrebbe fatto scorpacciate di ciliegie e albicocche? 

Di sé mi dava solo notizie avare, frammentarie; così telefonai a Giuliano per chiedere di lei.

«Ah, sì, Carola… Scusa, ti sento male… poco campo… Ti chiamo io!»

Non richiamò.

Una sera, all’incirca un mese dopo il suo arrivo, mentre stavo leggendo a letto sentii un bussare lieve alla porta.

«Entra» dissi, sistemandomi il cuscino dietro le spalle.

Rimase un momento sulla soglia. Indossava i calzoncini blu che facevano parte del suo ridotto corredo e una canottiera rosa pallido mai vista prima. Aveva preso un po’ di peso, le occhiaie viola erano scomparse. 

«Non ti piaccio proprio?» chiese, a voce bassa.

«Ti aspettavi che ti saltassi addosso di notte?»

Mi guardò con tristezza, forse perché avevo indovinato, forse perché non ero Giuliano e nemmeno lo stronzo che le aveva rovinato la vita. Venne ad accucciarsi vicino a me. Mi limitai ad accarezzarle i capelli, la sua testa sul petto, il mio braccio intorno alle sue spalle ossute. 

Poi cominciò a strusciarmisi addosso. Si tolse la canottiera e i calzoncini, mi spogliò. 

«Ti voglio» disse, con quello sguardo che non lasciava scampo, con quella voce dura da bambina sapiente. 

Quando Damiano, tornato da un soggiorno di studio a Londra, mi chiamò da casa di sua madre, mi prese il panico. Tuttavia, lo invitai a cena.

Imbarazzatissimo, cercai di spiegare a Carola che in sua presenza non avremmo dovuto comportarci come una coppia.

«Tuo figlio cioè potrebbe turbarsi? E come pensi di presentarmi? A proposito, non siamo una coppia. Sono un’ospite di Giuliano, proprio come te. E scopiamo. Ma questo non c’è bisogno di dirlo a tuo figlio cioè

Tentai di abbracciarla, lei si scostò. Mormorai che non volevo perderla.

«Perdermi? Non mi hai mai avuto, splendido cinquantenne.»

Mi ama, pensai. L’amore la rende furiosa. Si aggiusterà tutto. Damiano capirà, non è un bambino. Non mi giudicherà. E poi, giudicare cosa? Lei è giovane e io no. E allora? Dobbiamo superare questa sera: ce la faremo.

Sfoderai i miei cavalli di battaglia: gnocchi fatti in casa, conditi con il mio rinomato pesto di pistacchio, filetto in crosta, carciofi in pastella e gelo di cannella.

Carola raccontò disinvolta che i suoi genitori erano amici di vecchia data di Giuliano, che l’ospitava di tanto in tanto. Stava seguendo un corso di scrittura, conoscevamo Raul Montanari? 

Pensai che forse i suoi genitori erano davvero amici di Giuliano.

Mangiammo con gusto, rilassati. I ragazzi scherzavano fra loro e lodavano il cibo.

Quando Damiano se ne andò, Carola scomparve in bagno. Rigovernai, attesi che uscisse. Poi mi sdraiai sul letto, tutto vestito.

Mi svegliai, infreddolito, intorno alle tre. Mi mossi nell’appartamento silenzioso. La porta della stanzetta in cui Carola aveva dormito all’inizio era chiusa. 

Andai in bagno, mi misi a letto. Presi sonno solo verso l’alba.

Mi svegliai tardi, dopo le nove. La cercai. Non c’era.

In cucina, sulla tavola apparecchiata per una sola persona, con le stoviglie migliori, c’erano pane tostato, marmellata, miele, frutta. 

Un foglio A4, sotto la tazzina da caffè, urlava: SIMPATICO TUO FIGLIO CIOÈ.

Febbraio 2023

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