Matteo Romano

War Ensemble

ANNO 01 | NUMERO 06 | APR 2023

Ueeeh ueeeh!

Buon Dio, di già!

Spalanco gli occhi, me li stropiccio. Al mio fianco, Valeria si contorce appena, mugola, sbuffa – m’arriva una zaffata di topo morto – e dopo un secondo torna a ronfare alla grande. 

Non ho tempo per capire chi sono, in che anno siamo e tutto il resto. Mi alzo, non trovo le ciabatte, ma fa lo stesso. 

Accendo la luce nel corridoio e Rico mi viene incontro scodinzolando. Mi strofina il suo naso umido sulla gamba, me la lecca e io lo scaccio via. 

Sono nella cameretta. Per poco le urla del mostro non mi perforano i timpani. Lo prendo dalla culla e me lo porto al petto. Il mostro, per la cronaca, si chiama Tommaso, Tommy per gli amici, che ancora non ha.

Inserisco il pilota automatico. Andiamo in cucina, Rico ci segue. Afferro il bollitore, ci verso il latte e lo piazzo sul fornello. Tutto questo con una mano sola, mentre cullo il mostro.

Rico mi sta sempre tra i piedi. Mi chino, lo accarezzo per placare la sua eccitazione, ma non serve a niente. 

Quando il latte arriva a temperatura lo verso nel biberon. Noto che la tettarella ha il bordo spaccato. Sempre rigorosamente con una mano e il cane fra le palle, la sostituisco con una nuova e la infilo nella boccuccia di Tommy che si mette subito a succhiare.

La tettarella mi fa venire in mente i capezzoli di Valeria. L’altro giorno, dal momento che ero arrapato come un frisone, ho avuto l’ardire di palparle le tette. Lei si è voltata e mi ha ringhiato Ahia! Mi fai male, scemo! Possibile che pensi soltanto a scopare?! Capirai, non lo facciamo da mesi… 

In questo periodo Valeria ha i capezzoli durissimi e ipersensibili e comunque sia non può allattare. Lei e il ginecologo mi hanno spiegato il problema almeno cinque volte, ma io non l’ho ancora capito bene. Quando si tratta di queste cose mi limito ad annuire come un idiota e se mi chiedono se è tutto chiaro dico Sì sì, evoglia!

Siamo seduti sul divano. Rico mi porta la sua pallina, lo assecondo, ma al terzo lancio gli dico A cuccia! e lui ovviamente non ubbidisce.

Accendo la tv, mettendo il volume al minimo. Sto lì a fissare le immagini che si sdoppiano, si triplicano, finché mi appisolo.

 

Vengo svegliato dalle grida. Penso Oddio, è caduto! e invece Tommy è ancora fra le mie braccia. Ha la faccia rossa, la lingua di un drago e la pelle grinzosa per via di tutte quelle smorfie di dolore. Ma dolore di cosa? Hai mangiato, che altro vuoi? Quant’è brutto! Mi pare Benjamin Button da piccolo. Per me i neonati sono bruttissimi, diventano belli solo dopo qualche mese, quando sono cicciotti e hanno gli occhietti dolci.

Continuo a cullarlo e dopo manco cinque minuti vengo sommerso dalla puzza di cacca. Mai visto uno con un metabolismo così veloce. 

In bagno gli cambio il pannolino. Quando lo faccio mi metto di lato, perché di solito Tommy mi piscia addosso, o se è particolarmente in forma mi centra addirittura in faccia. Mi sa che mi odia.

Torniamo in cucina. Lo cullo cantandogli una ninnananna, ma lui piange più forte. E Valeria continua a dormire. Sto dietro al bambino tutto il giorno – dice – non ce la faccio anche la notte! D’accordo, ha ragione, ma io lavoro, e alle sette attacco il turno. Quindi, alla fine, mi faccio sì e no due ore di sonno. 

 

Mi viene un’idea. Lascio il mostro sul divano, mi vesto, poi lo sistemo nel seggiolino, scaccio Rico e usciamo di casa.  Nel portone le grida di Tommy sembrano gli strilli di un’aquila. 

In un attimo siamo in macchina. Dicono che i bambini si addormentano in fretta lì, saranno le sospensioni o il ronzio del motore, boh…

Ci vuole una meta: McDrive.

All’interphone la tipa mi fa Ma è un bambino quello che piange? No, è il diavolo in persona, le rispondo io.

Con tutto quel chiasso non capisce una mazza dell’ordinazione: mi ritrovo un chickenqualcosa anziché il cheeseburger. Pace! Lo divoro in tre morsi e ci rimettiamo in moto.

Niente, la mia idea s’è rivelata un fiasco. Guardo la faccia bordò di mio figlio nello specchietto. Sembra che stia per esplodere. Anch’io sto per esplodere. Infatti…

E che cazzo, Tommy! Basta! Ma che vuoi ancora?! Dimmelo! Non ce la faccio più! Se non la smetti di frignare, giuro che ti abbandono sul ciglio della strada! Sei un mostro, mi stai uccidendo! Io devo dormire, lo capisci?! Maledizione! Perché mi odi? Che t’ho fatto?!  

Allora, siccome non sono obbligato a sorbirmi tutti quei dannati strilli, accendo lo stereo e di colpo parte War Ensemble

Le urla di Tom Araya sono più potenti di quelle di Tommy. E poi, verso la fine del pezzo, il miracolo. Guardo nello specchietto: Tommy ha smesso di piangere. È sveglio, però se ne sta buono buono. Tommy, Tom… non ci avevo mai fatto caso. Allora penso che forse a mio figlio piacciono gli Slayer. Lascio andare l’album e nel frattempo ci avviamo verso casa.

Parcheggio. Tommy non piange, pazzesco. Gli slaccio la cintura e lo prendo in braccio. Lo fisso per qualche secondo negli occhi per capire se Araya non me l’ha rintronato, e lui – Dio mio! – mi sorride! Non l’ha mai fatto, neppure con Valeria. Allora non mi odia! Mi viene da piangere, anzi piango. Me lo sbaciucchio e lui ride. Quanto sei bello! Bello di papà di tuo! Oh, non dicevo sul serio con quella faccenda del ciglio della strada… Quando racconterò questa cosa a tua madre morirà d’invidia! Ehi, ce la fai a dire papà! Pa-pà! Prova, dai!… Niente, eh? Mi sa che è ancora troppo presto.

Aprile 2023

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