Stefano Lazzari
La chiave
ANNO 01 | NUMERO 09 | LUG 2023
Luigi e Susanna bisbigliavano.
Lei ancora col cappotto in mano, lui appoggiato all’isola della cucina, la camicia fuori dai jeans, senza pantofole.
– Ma chi è quella?
– È Agata, fa le pulizie qui.
– Non potevi mandarla via?
– Tranquilla, non capisce una parola di quello che diciamo.
– Che c’entra? E se mi riconosce in ascensore, mentre sono con Fabio e i ragazzi?
– Agata è già tanto se si ricorda di mettere il Dyson in carica. Prego sempre che non scambi l’acido muriatico per l’ammorbidente. Fidati, ha le capacità deduttive di un sasso.
– Guarda che ti sente!
Agata, dall’altra parte dell’open space che comprendeva un grande soggiorno e la piccola cucina che vi si affacciava, si muoveva lentamente. Spolverava l’imponente tavolo di legno, sul quale c’era il portatile di Luigi, ben attenta a non toccare i cavi o il mouse.
– Non parla italiano. E poi è stupida. Poverina, è pure brutta. È un dato di fatto, non lo dico con cattiveria. È colpa della genetica e del caso. Tu pensi di meritare la tua bellezza? Io sono bello e intelligente e so che mi è andata bene.
– Non mi piaci quando fai così–, disse Susanna mentre rivolgeva i suoi occhi verdi verso Agata, che nel frattempo era passata alla libreria in abete bianco.
– Io ti piaccio sempre. Altrimenti non saresti qui, oggi addirittura di pomeriggio invece che di mattina. Hai voglia di me, e ti capisco, anche io ho voglia di te. Fosse per me ti prenderei qui, sul ripiano della cucina, davanti ad Agata.
– Piantala, Luigi.
– Senti un po’, Susannina, mi stai stufando. A differenza tua, non mi mantiene nessuno. Se vuoi scopiamo, altrimenti torno al computer.
– Ma non siamo soli!
– Saremo in camera, no? Lei fra poco se ne va, lascia sempre la sala per ultima.
Agata spolverava i soprammobili che decoravano la libreria. Le zebre di pietra comprate in Namibia, la maschera di legno indonesiana, il piccolo Buddha thailandese che stava davanti ai saggi.
– Gliele presenti tutte o sono fortunata?
– Susannina…piantala.
Luigi le tese la mano, senza dire altro. Lei gliela prese, con un finto broncio che si schiuse in un sorriso. Attraversarono la sala e Luigi si fermò all’altezza della libreria.
– Agata?
La donna lo guardò, con sguardo interrogativo, mentre lui scandiva le parole al rallenty:
q u a n d o h a i f i n i t o, e s c i e c h i u d i l a p o r t a.
N o n s c o r d a r t i i s o l d i s u l t a v o l o!
A Susanna venne un po’ da ridere, ma i sensi di colpa la trattennero. Luigi sbuffò, digitò lo stesso messaggio nel traduttore dello smartphone, e impostò il dizionario italiano-russo. Poi piazzò lo schermo davanti alla faccia di Agata finché questa non annuì.
– Capisci che intendo? È in Italia da cinque anni e ancora non capisce nulla!
Susanna stava per rispondere, mentre si dirigevano in camera da letto. Poi l’orologio a muro le ricordò che avevano poco più di un’ora. Non voleva passarla a discutere. Guardò Luigi, molto più in forma del marito, i pettorali da nuotatore, i capelli brizzolati ancora folti. Sospirò e lo seguì, in silenzio.
Si chiusero in camera, abbassarono le tapparelle elettroniche fino in fondo, restando nella semi-oscurità. Il tempo sembrò annullarsi, lo spazio sprofondare, mentre si cercavano come due adolescenti.
Quando riemersero in soggiorno, li accolse una luce grigiastra. Il tramonto più bello lo stava vedendo chi volava sopra le nuvole, pensò Susanna. L’orologio della sala le ricordò che doveva sbrigarsi se voleva fare la doccia prima che rientrassero i suoi figli. Diede un bacio a Luigi, che si era seduto al portatile a controllare l’e-mail.
Si infilò le scarpe, prese il cappotto e sbirciò dallo spioncino del pianerottolo, per sincerarsi che fosse deserto.
– Luigi! – bisbigliò.
– Ma che sussurri? Non ho tempo per giocare, vai a casa che devo lavorare!
Susanna avrebbe voluto frantumare le zebre di pietra della libreria su quel bel viso immusonito.
– Abbassa la voce! Ci sono tre uomini sul pianerottolo, stanno leggendo i nomi sui campanelli, credo…non posso uscire!
– Aspetta che se ne vadano, no?
– Mandali via tu, ti prego! Devo tornare a casa ora!
Luigi imprecò, trascinandosi fino alla porta. Quando Susanna sentì il campanello, si stava chiudendo in camera da letto.
Ansimando si sedette a terra e accostò l’orecchio alla porta, cercando di sentire qualcosa. Inizialmente non distingueva le voci, poi il tono cambiò.
– Siete impazziti, non ho fatto nulla! Io vi denuncio!
Il forte colpo che fece trasalire Susanna era la mano che Luigi aveva sbattuto con troppa forza sul tavolo. Si era fatto male, ma non volle darlo a vedere ai tre uomini, che però smisero con le buone maniere.
– Lei è in arresto, signori Giani! Moderi i toni e ci segua, o la dobbiamo ammanettare?
Luigi si massaggiava la mano, la rabbia si era fatta dolore e la mente aveva ripreso a ragionare. Annuì, prese la giacca e li seguì. Il suo cervello glielo diceva chiaramente: c’era per forza un errore, non aveva violato alcuna legge. E poi la polizia postale? Si sarebbero pentiti di averlo accusato. Pensò che se lui stava avendo una giornata di merda, forse se la meritava anche Susanna. Sorrise compiaciuto, mentre chiudeva la porta a doppia mandata dietro di sé.
Quando lei sentì la chiave girare nella serratura, scattò in sala. Dallo spioncino constatò che il pianerottolo era deserto. Provò ad aprire, ma lo sapeva: era in trappola.
Voleva piangere, spaccare tutto. Uno sguardo all’orologio. Non c’era tempo, i suoi figli sarebbero tornati di lì a dieci minuti. Frugò fra gli scaffali della libreria e nei cassetti del tavolo alla ricerca di una copia delle chiavi. Era fregata. Si sedette al tavolo, la testa fra le mani.
Solo allora vide un foglio di carta con la scritta “sarai bello tu”, su cui era posata una chiave.
Senza farsi troppe domande, aprì la porta, si fiondò giù per le scale e arrivò all’uscio del suo appartamento. Ce l’aveva fatta, i suoi figli non c’erano.
– Ha visto che casino, signora Noti?
La voce alle sue spalle era la signora Monterosso, la vicina onnisciente.
– Io…ecco, no, in realtà stavo appunto andando giù a vedere.
– Ah, cara, lasci che la accompagni così le spiego e vediamo se ci sono novità.
L’anziana signora si prese una pausa drammatica, si sistemò lo scialle blu intorno al collo e aspettò che le porte dell’ascensore si fossero chiuse per confidarsi.
– Vede, cara, pare che il signor Giani sia stato arrestato.
– Il signor Giani…
– Ma quello del loft, quello che ogni settimana se ne porta a casa una diversa!
– Ah…non lo sapevo. Cioè, non lo conosco.
– Non mi stupisco, cara, lei è una donna per bene, e non ha la camera da letto sotto quella del Giani. Comunque, le dicevo, lo hanno arrestato e ora ci sono, sul vialetto di casa, tre poliziotti e il signor Giani, con un sacco di curiosi, lei sa come sono i nostri vicini! Per non parlare della portinaia, la Raffaella! Sono tutti lì a chiosare in cortile.
– Ma come, in cortile?
– Ma sì, si è inceppata la serratura del cancello esterno. Non si apre. La Raffaella naturalmente non ha idea di come risolvere il problema.
Arrivate in cortile, Susanna constatò che il quadro era quello. Riconobbe anche i suoi figli al di là dell’alto cancello, ancora in strada perché la serratura era bloccata. Fece finta di non vedere Luigi, ricordandosi improvvisamente che l’aveva chiusa dentro, quell’imbecille. Insieme alla signora Monterosso si avvicinò agli altri condomini, che non fingevano più interesse per la serratura, e ascoltavano la conversazione di Luigi coi poliziotti.
– Fate una chiamata in centrale, avete sbagliato persona! Lasciatemi tornare a lavorare.
– Ancora con sta storia. È andata ormai, signor Giani.
– Ma io la mando a dirigere il traffico, lei e i due cretini che la accompagnano!
– Lei lavora per l’azienda Leonardo, giusto signor Giani? Dirige il gruppo che disegna i velivoli autonomi, guidati da intelligenza artificiale?
– Sì, ma…
– Fino a poche settimane fa l’indagine era in alto mare. Sapevamo solo che per mesi, ogni settimana, sempre alla stessa ora, alcuni documenti dell’azienda venivano duplicati e caricati su siti fantoccio, ogni volta diversi. Fino a questa settimana, quando ha abbassato la guardia e abbiamo scoperto che era dal suo computer che avvenivano gli upload.
– Ma che dice? E a chi mai li avrei mandati?
– Finga pure di non saperlo, ma chiariremo l’identità dei suoi contatti russi.
– Un momento…russi? Ma…è tutto chiaro allora! È stata Agata!
– Ne parleremo in centrale, lei pensi pure a qualche bella storia, noi abbiamo i fatti.
– Dico davvero! Se l’ultimo upload è avvenuto un’ora fa, io non ero al computer! Lo può testimoniare Susanna!
L’attenzione del vicinato migrò su Susanna, che impallidì.
– Susanna, diglielo tu!
– Lo conosce, signora?
Gli occhi di Susanna furono rapidi. Vide oltre al cancello i suoi figli, guardò il poliziotto e poi Luigi.
– Ho scoperto solo oggi che è il vicino scapestrato del loft.
La signora Monterosso annuì con aria grave, cingendo la vita di Susanna con un braccio.
La risata di Luigi fu fragorosa, liberatoria. Disse al poliziotto di guardare il suo telefono, ci sarebbero stati tutti i messaggi che si erano scambiati. Susanna trasalì. Rivolse lo sguardo ancora in direzione dei suoi figli, quando riconobbe accanto a loro Agata. Le sembrò che sorridesse, mentre armeggiava con il cancello.
Il poliziotto si mise accanto a Luigi, che aveva aperto WhatsApp. Scorse su e giù, ma i messaggi di Susanna non c’erano più. Cercò su Signal, fra i messaggi di testo, in rubrica. Nulla.
– Mi avete fottuto, tu e quell’altra stronza!
– Si calmi, signor Giani. Ah, il cancello è stato sbloccato, ne parliamo in centrale, – disse l’agente, prendendo Luigi sottobraccio.
– Mi calmo un cazzo! Susanna! Susanna! Sei solo una puttanella. Né intelligente, né bella! Ti scopavo per pietà, per noia!
La signora Monterosso era diventata una statua di sale, ancora attaccata a Susanna, la quale disse solo, fra sé e sé: sarai bello tu.
Luglio 2023