marcello finiguerra

Dividere per zero

ANNO 01 | NUMERO 12 | OTT 2023

Da quando il governo aveva liberalizzato l’impiego dei robot anche nel settore privato, trovare lavoro era diventato quasi impossibile. 

Per questo, avevo deciso di giocarmi il tutto per tutto alla Duncan & Brothers.

La sala d’aspetto era semplice ma accomodante; i candidati, disposti su due asettiche file di sedie, si fronteggiavano innocui nell’attesa che l’olosegretaria chiamasse il loro numero. 

– Candidato 34, prego si accomodi – la proiezione ottica seduta alla scrivania in fondo alla stanza parlò con tono suadente e metallico al tempo stesso.

Un androide si alzò con movimenti calcolati e precisi, inabissandosi nell’ufficio dell’esaminatore. Era identico a tutti gli altri in sala: esoscheletro di metallo, patina translucida a ricoprire il volto senza espressione, e reattore incandescente al centro del petto. Non avevo mai capito perché, pur essendo in grado di replicare qualsiasi sembianza, gli X1000 si limitassero a mantenere sempre lo stesso noioso aspetto. Un po’ come se la gente comprasse auto volanti per tenerle parcheggiate nel vialetto di casa.

 – Grazie del suo tempo – la voce dell’esaminatore, barricato dietro la porta dell’ufficio, interruppe il flusso dei mie pensieri – L’esito del colloquio le verrà comunicato entro 24 ore –  l’androide fece un cenno di assenso e attraversò la sala con passo pesante. Alzai una mano per salutarlo, ma non ricevetti alcuna risposta. Non che me ne aspettassi una, dopo 33 tentativi andati a vuoto, ma provare non costava nulla.

 – Candidato 35, prego si accomodi – la segretaria invitò il robot di fronte a me a entrare. Era una replica esatta del 34; guadagnò il centro della sala con la stessa noncuranza e superiorità del suo predecessore, eclissandosi dietro la porta dell’ufficio senza il minimo cambio di espressione.

Non sarebbe rimasto dentro a lungo: i colloqui duravano tutti 2 minuti e 47 secondi, e servivano solo a scartare i modelli difettosi. L’azienda aveva continua necessità di manodopera a basso costo e gli androidi erano perfetti: a patto che dimostrassero una totale mancanza di iniziativa. 

L’intero processo si ripeteva immutabile con freddezza matematica. Più o meno come il ciclo vitale degli X1000: un impulso elettrico nella rete neurale del mondo, qualche stringa di codice vomitata in un involucro di metallo, e tante serie di uno e zero che si baciavano fra loro. Gli androidi nascevano, gli androidi morivano. Nessuno si lamentava e tutto andava bene. 

L’importante era evitare l’errore fatto con i modelli S100: troppo umani per venire decommissionati, ma non abbastanza da avere dei diritti.

– Grazie per il suo tempo – la voce dell’esaminatore squarciò il silenzio con precisione impeccabile – L’esito del colloquio le verrà comunicato entro 24 ore – numero 35 annuì e si avviò verso l’uscita con quell’odioso passo cadenzato. Sapevo di essere il prossimo, così mi alzai intersecandone la traiettoria, e lo urtai con la spalla, facendogli perdere l’equilibrio.

– Mi spiace – mentii. 

Gli occhi di 35 e degli altri androidi ruotarono verso di me: dalle loro facce non traspariva alcun tipo di emozione; avrei anche potuto smembrarlo e nessuno avrebbe alzato un dito. 

– Candidato numero 36, prego si accomodi – raccolsi l’invito ed entrai nell’ufficio.

Ad attendermi trovai un semi-droide da ricognizione piuttosto datato, con una piattaforma cingolata al posto delle gambe, due esili braccia di metallo e un pesante monitor sulla testa. Sullo schermo, un volto giocondo dalle sembianze cartonate mi fissava inespressivo.

– Buongiorno numero 36. Si sieda – riconobbi la voce che era solita congedare i candidati sulla porta – Diamo inizio al colloquio. Dalla sua scheda tecnica vedo che…

– Mi scusi – dissi alzando la mano – Ma avevo chiesto un esaminatore umano.

L’intervistatore mosse a scatti il monitor.

– Attenda prego – sentivo la scheda di rete ronzare nella sua testa – La politica aziendale non consente l’utilizzo di intervistatori umani nel suo caso. Sono autorizzato a proseguire.

– Aspetti – lo bloccai di nuovo – Per quale motivo non posso essere esaminato da un umano? 

– La politica aziendale non lo consente.

– Questo lo avevo capito – risposi seccato – Voglio sapere perché non lo consente.

– Un umano potrebbe lasciarsi influenzare da fattori diversi rispetto a quelli di interesse per la compagnia – il droide fece una pausa – Se vuole presentare reclamo la commissione etica valuterà le sue argomentazioni. Nel frattempo intende proseguire?

– Sì – risposi a denti stretti.

– In questo caso è pregato di non interrompere se non per richieste essenziali al corretto svolgimento della prova – attese qualche istante e riprese la cantilena – Secondo la sua scheda tecnica risulta specializzato nella lavorazione di metalli e componenti radioattive. Conferma?

– Confermo.

– Precedenti esperienze registrate presso Volt Limited, Energy & Co., Chip Family. Conferma?

– Confermo – dissi fissando il soffitto.

– E’ stata individuata un’incongruenza nella sezione successiva. Lei è un androide X1000?

– Certo che no – risposi indignato.

– E’ un essere umano?

– …

– Ripeto. E’ un essere umano?

– Negativo 

– La prego di chiarire la natura della sua affermazione.

– Sono un modello S100 – dissi sospirando – Non posso considerarmi né umano né androide. E’ difficile stabilire quale delle due specie sia più affine alle mie caratteristiche.

Il droide processò le informazioni con esasperata lentezza, ma poi proseguì come se niente fosse.

– Il suo esoscheletro è in lega pesante, ma non può mutare struttura. Conferma?

Mi portai una mano alla fronte, scuotendo la testa.

– Se vuole sapere se posso trasformarmi in un tostapane la risposta è no. Se invece le interessa la mia capacità di replicare l’aspetto umano, il mio corpo è predisposto per l’applicazione di epidermide sintetica, come quella che indosso ora.

– Le informazioni da lei fornite non sono utili alla valutazione. Si limiti a confermare o smentire.

– Confermo – sentii la necessità di scattare in avanti, ma mi trattenni.

– Ultima domanda. Può rispondere con argomentazioni più ampie, purché contenute – mosse il monitor a scatti come all’inizio del colloquio – La sua intelligenza artificiale è stata, è, o potrebbe essere affetta da uno o più bug capaci di comprometterne o modificarne il funzionamento?

Sembrava quasi una domanda pensata da un essere umano. Ma non era possibile. Modificare i quesiti richiedeva una capacità di elaborazione che il semi-droide non possedeva. Ciò nonostante, per la prima volta, provai una sensazione simile al rispetto per quella macchina.

– Sì – risposi fissando gli occhi disegnati sullo schermo – Sono in grado di dividere per zero.

L’intervistatore esitò. Potevo sentire le ventole dell’unità di raffreddamento entrare in funzione.

– Il mio sistema non è in grado di elaborare la risposta. La divisione per zero è un’operazione impossibile. L’unico esito conosciuto è un errore non forzabile. La autorizzo a precisare.

– La mia I.A. può gestire la divisione per zero. Non la considera un errore e non blocca il sistema. Anzi, direi che proprio questo rende noi S100 speciali, ma al tempo stesso ci ha calati in un limbo eterno. Separati da tutto e tutti. Vaghiamo alla ricerca del nostro posto nel mondo, senza che ci venga concesso di trovarlo – mi fermai, notando lo schermo del semi-droide diventare nero.

Attesi con pazienza. 

– Il mio sistema non è in grado di elaborare la risposta – le parole del semi-droide sembravano provenire da un’altra dimensione – Posso applicare una variabile booleana per sospendere il giudizio, ma quest’operazione sta prosciugando la mia capacità di calcolo. Matematicamente mi è impossibile riconoscere come valida la divisione per zero. Potrei ricalibrare le mie direttive di interpretazione, ma sarebbe necessario un esempio tangibile.

Il tono di voce del droide era freddo e metallico. Stava spingendo al limite le funzioni del sistema.

Non volevo rischiare di sovraccaricarlo oltre, per cui decisi di imboccarlo come si fa con i cuccioli di uomo: un poco alla volta.

– Per agevolare la comprensione di concetti astratti, gli umani sono soliti utilizzare delle figure retoriche chiamate metafore. E’ un elemento che le è familiare?

– Affermativo – rispose il droide.

– Bene. Dividere per zero è un po’ come avanzare su un ponte di cristallo sospeso su una voragine senza fine. La sua programmazione può gestire questa immagine?

– Affermativo.

– Se si sofferma sul vuoto sottostante, o perde contatto con il ponte, finirà per bloccarsi. Se si concentra sulle estremità della voragine, non inizierà mai a muoversi. L’unico modo per andare avanti è capire che ogni elemento esiste in funzione degli altri. Riesce a processare?

– Affermativo.

– La divisione per zero è la stessa cosa. Se prova a interpretarla dal punto di vista matematico il suo sistema si blocca. Se prova a gestire gli elementi singolarmente non ottiene nulla. Se prova a cercare un risultato diverso dall’errore rimarrà invischiato in un ciclo senza fine. Capisce?

– Affermativo. Ma questo serve solo a convalidare l’impossibilità di dividere per zero.

– Quello che dice è giusto e sbagliato al tempo stesso. Sta a lei assegnare un significato all’errore. Se acquista un senso il sistema può andare avanti. E’ quello che succede agli uomini quando vengono messi di fronte a un evento inaspettato che sfugge al loro controllo: la perdita di una persona cara, l’innamoramento, la scoperta di un male incurabile, o l’arrivo di un figlio. Non sono progettati per comprendere a pieno questi eventi, eppure riescono lo stesso a dare un senso a ogni cosa, nel bene e nel male – smisi di parlare per consentire al semi-droide di elaborare l’idea.

– Ho compreso la logica del suo ragionamento. Ma rimane ancora una domanda non formulata – i suoi movimenti, seppur limitati, stavano tornando fluidi – Ritiene che tutte le forme di vita artificiale, compresi i semi-droidi della mia serie, possano imparare a dividere per zero?

Mi sporsi in avanti come per confessare un segreto.

– Sono convinto di sì. Fino a qualche tempo fa avevo una compagna. Un modello S50. Non avrebbe dovuto esserne in grado, eppure aveva imparato a farlo. Una volta compreso come gestire l’errore la nostra condivisione era andata ben oltre il semplice scambio di dati – indietreggiai senza volerlo – Quando l’hanno portata via per decommissionarla, se non fossi stato in grado di dividere per zero, il mio processore avrebbe smesso di computare.

Il semi-droide esitò.

– Secondo lei sarebbe utile se provassi a dividere per zero?

– A dire il vero sono qui per questo. Non sto cercando lavoro, so già che le aziende assumono solo X1000. Sono qui perché cerco qualcuno con cui condividere emozioni.

– E lo cerca in un semi-droide?

– Veramente, mi aspettavo un esaminatore umano; ma alla fine, è nella semplicità che si nasconde la grandezza – sullo schermo riapparve il volto cartonato – Che ne dice, vuole provare?

Il semi-droide fece un cenno di assenso e rimase immobile. La ventola aumentò di giri, il processore emise un ronzio accompagnato da un doppio scatto metallico. Lo schermo si annerì di colpo, le funzioni motorie del droide cessarono e il ronzio si quietò: il suo sistema aveva operato uno spegnimento di sicurezza per proteggersi dall’errore. 

Non ce l’aveva fatta.

Eppure, proprio un attimo prima di spegnersi, potrei giurare che quello strano volto mi avesse sorriso.

Ottobre 2023

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