Giulio Iovine

Sabba

ANNO 02 | NUMERO 13 | NOV 2023

Di norma non esco mai di casa se ho una scadenza che si avvicina. Da ragazzino ero quello che non usciva se il giorno dopo aveva un compito in classe, o un esame. Quando mi sono reso conto che era un sistema indifendibile ero già nella parte sbagliata dei venti – tutti sanno che la vita si vive tra i quindici e i venticinque; dopo, il tuo corpo ormai decrepito ti impedirà qualunque vero godimento. Detto fatto, sono ricaduto nelle mie vecchie abitudini. Ma stasera butta male. Sono quasi dodici ore che siedo davanti al computer, il file word è bianco, e il racconto deve essere pronto per domani.

Fuori è buio. A stare ancora seduto mi verranno le piaghe da decubito. Una passeggiata nel parco, dopo cena, non potrà fare troppi danni – anzi, forse aiuterà. Per prudenza, metto nello zaino penna e quadernino.

La strada che s’inoltra nel parco vicino casa mia è dotata di due serie di lampioni, che però – passato il cancello d’ingresso – sono quasi tutti spenti. Solo tre o quattro mandano ancora una luce intermittente, quel tanto che basta per non sbattere contro un tronco. Cammino nella tenebra, tenendomi sulla stradina asfaltata in mezzo agli alberi. Quando mi accorgo che alla mia destra il terreno si innalza giro in quella direzione, risalendo la cima di un’altura. Mi guida una serie di vampate di luce proprio sulla vetta. Sono notti d’inverno, il sole tramonta presto; e perciò le streghe, che son riunite da almeno tre ore, saranno già stanche o nella fase di calo della sbronza.

Eccomi finalmente sulla cima della collina. Come d’abitudine mi sistemo sull’antico sedile di pietra, proprio sotto il gigantesco tiglio, dove amo sedere e guardare la città. Qui sulla vetta i pini e i cedri si diradano, e il grande incendio al centro della radura si innalza verso il cielo buio, scosso dal vento in tutte le direzioni. Le streghe sono qui nei paraggi, nude e unte di unguenti, ognuna col suo manico di scopa. Qualcuna ci sta a cavalcioni e galleggia in aria, altre lo hanno abbandonato a terra e fanno danze a cerchio attorno al fuoco. Mi pare di riconoscere in mezzo a loro qualche blemmio senza testa con gli occhi sul petto, e uno sciapode con un solo, mostruoso piede che saltella suonando la cornamusa. Saluto chi conosco con un cenno della mano e contemplo la città, stringendomi nella sciarpa di lana, sperando che salti fuori un’idea. 

‘Topi e ubriachi’. Il tema del concorso è ‘topi e ubriachi’. Per domani devo avere pronte non più di 15.000 battute su questo tema. Non sarebbero nemmeno tante, ma è tutto il giorno che sto a spremermi la testa senza che mi venga in mente nulla. La passeggiata al parco non sta migliorando la situazione. Più cerco di fissare il pensiero sul tema, più mi scappa di mano, e zompa alla cena di domani sera, alla gita del prossimo sabato, al fatto che devo fare il bucato domani o resto senza mutande, all’ultima puntata di Downton Abbey che ho visto. Il disagio è tale che non mi accorgo nemmeno di Silesia, nuda e unta di unguento, che a cavalcioni della sua scopa sale maestosamente alla vetta della collina, proprio davanti a me, avvolta da un campo elettrico luminoso e rumoroso, tipo aura del super saiyan. 

– Nunzio?

– Oh, ciao Silesia.

– Caro, ciao. Che muso lungo.

– Ho un problema.

– Non dirlo nemmeno! Io ne ho mille.

(Silesia è una strega molto competitiva.)

– Mi dispiace. Che succede?

– Sono due mesi che cerco di regolare una faccenda con l’INPS e non ci riesco. 

– Che ti ha fatto l’INPS?

– Ieri ho guardato l’estratto conto dei contributi e mancano ben sei mesi dal triennio 2011–2014.

– Quando eri dottoranda a Palermo?

– Eh. Proprio quello. In teoria dovrei ritrovarmi contributi versati per trentasei mesi, non solo trenta. 

– Silesia, la burocrazia…

– Burocrazia un marone. Sono talmente incazzata che poche ore fa ho volato sopra al quartiere dove stanno costruendo i nuovi palazzi dell’INPS e ho sganciato non so quante palle di fuoco. Distrutto tutto. Paf.

– …prego?

– Distrutto tutto. Paf. È venuto giù un grattacielo quasi finito. Come mascarpone.

– Silesia, Cristo santo…

– Mica è morto nessuno, eh.

– Ho capito, ma milioni di euro di danni…?

– Mica li pago io.

– Silesia, di tutte le reazioni sproporzionate…

– Ma ti pare che mi fanno sparire sei mesi di contributi…?

– Eri una dottoranda. Lavoratrice parasubordinata, contribuzione minima. Versavi quanto, trecento euro al mese? In termini pensionistici, di quei sei mesi non te ne fai una ceppa. Andrai comunque in pensione a centoventi anni come tutti noi.

– Non me ne importa una sega, è il principio che conta. Quei sei mesi io ho versato i contributi. L’università me lo conferma. Sono soldi di cui mi sono privata per uno scopo specifico.

– Non te ne sei privata tu. Te li ha tolti lo stato.

– Per uno scopo specifico. Voglio quelle due lire o quanto cazzo è nel mio estratto conto INPS. Altrimenti, che me le ridiano.

– Tu sei fuori come un balcone.

Silesia risponde intonando Hava nagila, e roteando a mezz’aria sulla scopa. Le streghe che la sentono le vengono incontro e anche loro partono a cantare sparando lampi di luce e di ghiaccio nel cielo, illuminando a giorno l’intero parco.

– Comunque il servizio pubblico è una pigna in culo, conferma Amatunte, camminando mano nella mano con Perenna, nude, bionde e unte di unguento. Si siedono vicino a me, stanche per la danza attorno al fuoco. – Io un po’ Silesia la capisco.

– Anche io, conferma Perenna. – Figurati che l’altro ieri sono andata in banca a depositare il mio salvadanaio. Avevo le monetine in un sacchetto. Ci credi che non ci sono riuscita?

Mi batto la mano sulla fronte. Ci si mette anche lei, adesso.

– A parte che quello non è un servizio pubblico, Perenna, ma perché no…?

– Alla filiale di via Rizzoli hanno detto che avevano già chiuso la cassa (non era vero). A quella di via Dagnini che loro queste cose non le fanno perché una volta, non so quando, sono stati truffati e blabla. A quella di via dei Platani mi hanno giurato che quella di via Dagnini in realtà li doveva fare. Son tornata lì, mi hanno ripetuto che no, sono ripassata a via dei Platani dicendo che si erano rifiutati, e loro si sono guardati in faccia sconvolti, ‘hai visto’, ‘ma ti pare’, ‘ma che gente è’, ‘ma si manda via un cliente’.

– E ti hanno depositato le monetine…?, chiede Amatunte.

– No.

Amatunte incrocia le braccia.

– Domani andiamo là e facciamo esplodere la filiale. Così imparano a farti fare giri a vuoto.

Qui bisogna che le fermi:

Calma, ragazze. Prima di sfasciare tutto, fatemi capire. Perenna, com’erano le monetine nel sacchetto?

– Come vuoi che fossero? Sfuse.

– A fess e mammt. Non le puoi portare così. Diventano cretini a contarle e dividerle. Ci credo che ti mandano via. Gliele devi portare già divise.

– E come?

– Usi i rotolini di plastica fatti apposta.

– E dove si trovano?

– Te li do io. È facilissimo. C’è un tipo di rotolino per ogni taglio di moneta e ogni rotolino ha una cifra fissa che può contenere. Poi chiudi il rotolino con un elastico. Se vai nella filiale di via Lombardia, c’è il padre di un mio amico che ti metterà volentieri i rotolini sul conto.

– Nunzio, con questa dottrina della pace sociale hai rotto i coglioni, esclama Silesia. – Uguale a tua madre, per Satana. Ma facci fare dei danni, ogni tanto.

– Mi sembra che già così ne facciate anche troppi, ragazze.

Ricevo un buuu di disapprovazione. Silesia scende vicino a me, a cavalcioni della scopa.

– Tu, che problema avevi?

– Ma niente di che. Devo scrivere un racconto entro domani, e c’è un tema predefinito. Non mi vengono idee.

– Perché devi rispettare questo tema…?

– È un concorso. Sai che io faccio sempre tutti i concorsi letterari che trovo. In questo qui vinci cinquanta euro di bonus Amazon e un gadget a tua scelta.

– Che stronzata. Ma paghi per partecipare?

– A questo, no.

– Almeno. Ed è a tema?

– Sì. Il tema è ‘topi e ubriachi’.

– Capirai, è un tema facilissimo da sviluppare.

– In che senso?

– Guarda, te la do io la tua storia.

– Silesia, non…

Silesia si innalza a mezz’aria con la sua scopa, urlando in non so che lingua con una voce che non è la sua. La sua aura raddoppia in estensione, rumore e luminosità. Dal terreno del parco, uno dopo l’altro, emergono orrendi ratti lunghi ognuno un mio piede, con gli occhi rossi senza palpebra e gli incisivi acuminati come rasoi.

– Morte!, grida Silesia. – Morte! Morte!

I topi, diventati centinaia di migliaia, cominciano a correre giù dalla collina, dritti verso la città. Dopo di loro, altri ne emergono dalla terra, sempre più grossi e sempre più aggressivi.

– Coraggio bellezze! Dateglielo in culo a questi merdaioli!

– Silesia, scendi un attimo, ti prego…

– Vediamo poi se i contributi non me li segn-

– SILESIA PORCODDIO SCENDI SUBITO QUI.

Nel sentirmi tirare un porcone, Silesia – chiaramente non abituata – scende vicino a me, sempre a cavalcioni della scopa.

Accanto a me, grazie. Non mi piace parlarti mentre galleggi.

Scende dalla scopa, si siede.

– Dimmi.

– Silesia, manda via i topi.

– Perché? Ora hai un tema su cui scrivere. Il protagonista ferma i topi. Posso essere io il protagonista? Anche se nella realtà i topi li ho fatti venire io.

– Il tema era ‘topi e ubriachi’.

– Bè, sono sicuramente un po’ alticcia ora. Ho preso uno o due Moscow Mule prima di venire qui.

– Silesia, manda via i topi.

– Ma perché.

– Ho capito che sei incazzata perché la burocrazia non funziona. È una storia che è lunga quanto quella della civiltà umana. Ma non puoi radere al suolo l’intera città perché sei di cattivo umore.

– Uffa.

– Hai degli amici, in città. Hai me. Il figlio della tua migliore amica. Volevi bene alla mia mamma, no?

– Come fosse mia sorella.

– Ecco. 

– Ho pianto tanto quando è morta.

– Sapessi io, ero un bimbo.

– Ma ti abbiamo adottato! Sei stato bene con noi, vero?

– Ma certo, Silesia, io amo le streghe, siete come tante zie. Tu soprattutto. Ora fai un attimo appello ai tuoi ricordi di mia mamma. Vi siete frequentate per cinquemila anni, la conoscevi bene. Mamma sarebbe stata contenta che mandavi un esercito di topi a fare un massacro in città?

– No.

– Ecco.

Le è calata la sbronza, finalmente. Si rende conto che ha commesso un’imprudenza.

– Forse ho esagerato. Ma ero così incazzata…!

– Senti. Facciamo che dopodomani vengo con te all’INPS, in via Larga. Prendiamo appuntamento, ci ricevono prima. Ne parliamo con calma. Tu di queste cose non sei pratica, io sì, io lavoro in amministrazione da sempre.

– Ok.

– Così risolviamo la cosa.

– Nunzio, grazie.

– E di che? Ora, per cortesia, richiama i topi prima che mangino qualche bambino.

Silesia sospira, schiocca le dita, e i topi all’orizzonte scompaiono.

– Fatto.

– Silesia, grazie.

Abbraccio forte questa mia zia acquisita, antica di millenni, le forme e il carattere di una quindicenne traumatizzata, e lei – che in fondo è una tenerona! – ricambia l’abbraccio. Il tasto ‘mamma’ funziona sempre.

– Ma il tuo racconto?, mi chiede.

– Bè, direi che un’idea me l’hai data, alla fine.

Prendo il quaderno e la penna, mi tolgo i guanti, e comincio a scrivere.

– Oh, bene. Sono contenta che almeno questo siamo riusciti a ramazzarlo.

– Grazie, Silesia. Dopodomani alle nove in via Larga?

– Ok. Ti porto sulla scopa?

No. Ti passo a prendere io in macchina.

– Grazie, Nunzio.

– E di che.

Novembre 2023

© 2023 "Sabba" è una pubblicazione digitale della rivista letteraria Nido di Gazza.
Tutti i diritti correlati alla presente rivista sono riservati agli autori e collaboratori di Nido di Gazza.

Nido di Gazza | Rivista Letteraria - Nido di Gazza © Copyright 2023