CHIARA FUMAGALLI​

Mi senti?

ANNO 02 | NUMERO 14 | DIC 2023

Non mi capitava  da tempo  di incontrare una bambina. 
Sono felice. Mi avvicino senza smettere di guardarla. 
Nessuno mi dice di allontanarmi, nessuno mi trascina via. 
A volte, essere ignorati ha i suoi vantaggi.  

Lei è qui, accanto a me. Le prendo la mano, è calda. 

Lei mi sente. Ne sono sicuro perché ha ricambiato la mia stretta. Ora trema. Forse ha paura, forse inizia ad avere freddo. Penso che le possa far piacere parlare con un bambino come lei. 

Così le chiedo il suo nome, ma non mi risponde. 

Allora decido di parlarle io.  Per qualcuno è più semplice ascoltare. Io invece sono stanco di stare in silenzio.

“Non devi preoccuparti, non sei obbligata a parlare con me. Nessuno ha mai dato risposta  alle mie domande, nemmeno prima che io me ne andassi di casa. Quando sono tornato, poi, era come se non esistessi.

Parlavo e nessuno mi ascoltava. 

Domandavo e, in cambio, solo silenzio.

Forse volevano punirmi perché mi ero allontanato. 

Forse nessuno sapeva cosa dire.

A dieci anni, però, quando ritorni vorresti essere abbracciato o schiaffeggiato. 

In fondo me lo meritavo. Mi sono allontanato da solo, ho fatto preoccupare mamma. Avevano ragione a tenermi il muso.

Per qualche giorno sono scomparso, non nel senso che mi sono smaterializzato o che sono diventato trasparente. Semplicemente prima ero lì, poi sono andato via. 

È una cosa che mi hanno insegnato a fare in famiglia. 

Non mi hanno dato formule magiche, non avevano il dono di Houdini. 

In casa mia avevano semplicemente l’abitudine di sparire, ovviamente sempre nel momento sbagliato.  

Alla fine, le cose le impari, a furia di vederle fare.

Mio padre è scomparso il giorno prima del mio quinto compleanno, in silenzio, in punta di piedi. 

Era lunedì. È tornato dal lavoro più tardi del solito. Io lo aspettavo con le ciabatte in mano e la pipa carica.

Amava fumare la pipa tenendomi sulle  ginocchia. 

Era il nostro rituale prima di coricarci. Anche quel giorno mi ha dondolato sulle sue gambe prima di rimboccarmi le coperte, ma il mattino dopo non si è alzato per farmi gli auguri.

Mamma mi ha detto di lasciarlo riposare, che era stanco. 

Al mio ritorno dall’asilo era scomparso. 

Anche nonno è sparito all’improvviso, il giorno della mia recita di Natale. 

Doveva essere in prima fila ad incoraggiarmi ed applaudirmi. Invece c’era un posto vuoto accanto alla mamma. 

Nonno se n’è andato senza vedermi recitare. 

Se avesse visto quanto sono stato bravo a fare il cammello sarebbe ancora qui, ne sono certo.

Io non lo so dove vanno le persone che se ne vanno, so solo che quelle che sono fuggite da me, non sono più tornate. 

L’unica che ogni tanto se ne va e poi, dopo giorni e giorni riappare, è Mirtilla, la mia gatta, ma non è mai stata in grado di raccontarmi cosa faccia durante la sua assenza. 

Una volta ho provato a seguirla, per capire dove vanno quelli che scompaiono, ma non è stato possibile. 

Ha un fiuto pazzesco e quando si è accorta che le ero alle calcagna ha fatto dietrofront, mi si è aggrovigliata tra le gambe con quel suo solito rumorino da trattore impazzito e mi ha trascinato fino a casa.

Un giorno stavo leggendo una storia con mamma. 

Ho chiuso il libro e  le ho chiesto  quando sarebbe tornato papà.  

Ha farfugliato qualcosa su un posto meraviglioso, su prati verdi infiniti, su angeli svolazzanti e ha cominciato a piangere.

Per colpa di quelle lacrime non ho capito nulla della risposta di mamma.

Così ho smesso di domandare.

Non so bene come sia possibile e se succeda a chiunque, ma tutte le volte che smetto di fare qualcosa, il desiderio di fare quella cosa aumenta. 

In quaresima, ad esempio, mamma mi ha sempre fatto fare il fioretto dei dolci. Non sono un mangiatore di caramelle, ma per quaranta giorni vedo dolcetti ovunque e me li sogno pure la notte.

Io una risposta la volevo davvero, ma non c’era nessuno che avesse voglia di parlarne con me.” 

“Se io ti rispondo, tu continuerai a parlare con me?”

La bambina  ha una voce sottile come le sue labbra e la sua figura. Si perde quasi nei suoi abiti, tanto è minuta. Devo rimanere calmo anche se mi sembra di sentire il  cuore correre come un cavallo selvaggio. Da tempo  non parlo con qualcuno. È una bella sensazione. 

Annuisco.

“Mi chiamo Agnese e ho otto anni. Mi piace sentirti parlare.”

“Davvero vuoi ascoltare la mia storia?” 

Muove su e giù la testa  e mi sorride. 

“C’è un giardino, vicino a casa mia, un parco bellissimo. È lì che l’ho conosciuto. Ero sotto una magnolia,  inginocchiato sulla ghiaia ricoperta dai petali sfioriti, Giocavo con i soldatini. 

Prima ho visto le sue scarpe poi, per ultimo, il suo sorriso. 

Lui mi ha salutato e mi ha chiesto se sapessi dove vanno i fiori quando muoiono. 

Una domanda facilissima per un appassionato di fiori. Diventano concime per il terreno, ho pensato. 

Ma non ho risposto. 

Mamma mi ha insegnato che non si parla con gli sconosciuti. 

Lui però non deve essere mai stato un bambino obbediente perché ha parlato di nuovo con me. Non mi conosceva e se ne fregava  dei consigli dei grandi. 

Poi si è girato ed è scomparso. 

Un altro che se ne va. 

Ma il giorno dopo lui è tornato.

Se una persona torna non può essere cattiva, ho pensato. 

Aveva anche un regalo per me.

Ho cominciato ad incontrarlo sotto la magnolia, tutti i giorni. Era bello parlare con qualcuno. È bello avere un amico. Nessuno in casa mi ha mai ascoltato, mamma sempre in lacrime, nonna rinchiusa in un ospizio per vecchi e Mirtilla, beh, Mirtilla è un gatto! 

Ricordo bene il giorno in cui è arrivato con la macchina. 

Non pensavo potesse avere  un’automobile così bella, rossa, col tettuccio apribile. 

Sì, certo che volevo salire e provarla, che domande! 

A volte i grandi fanno delle domande proprio stupide. Così mi ci sono infilato subito. 

L’aria era pungente, per essere già aprile avanzato, ma forse avevo freddo dentro. 

Lui ha capito e mi ha messo una mano sulle gambe, accarezzandomi. 

Mi è sembrato abbia detto di non avere paura, ma appena lo ha detto, io la paura l’ho sentita attraversarmi la schiena dal mio alluce fino alla punta dei miei capelli a spazzola. 

Il gelato al cioccolato mi è sempre piaciuto, non so come facesse a saperlo. Nel frigorifero  ne aveva una vaschetta piena, tutta per me. 

Che sballo! 

Mamma non mi ha mai permesso di mangiare solo gelato per pranzo e nemmeno di saltare sul divano con le scarpe. 

La giornata è stata meravigliosa, ma quando è sceso il buio ho sentito ancora quel freddo. Volevo tornare a casa. A dieci anni non puoi guidare la macchina e lui non mi ha riportato a casa. Vuoi vedere che questa volta sono io quello che scompare? 

L’ho pensato così forte che forse qualcuno mi ha ascoltato. Bisogna stare attenti ad esprimere i desideri. 

Che quelli ci ascoltano sul serio. 

Ricordo solo di essermi addormentato dopo quella camomilla e di essermi risvegliato in un bosco. Lui non c’era più.

Ho vagato in quel bosco, mi sono aggirato tra gli alberi, ma non ho incontrato nessuno. Non conoscevo quel luogo, non ci ero mai stato.

Sono stato coraggioso sai?  

Non ho pianto, non sono capace di piangere. 

Quando attorno a te tutti piangono non hai più voglia di vedere lacrime. 

Nemmeno le tue. 

Allora mi sono seduto sotto ad un castagno. 

Per fortuna in aprile non ci sono ricci per terra, così non mi si sono conficcati tutti gli aghi nel sedere.” 

La bambina ride. Rido anche io.

Mi fa cenno di continuare a raccontare. “È bella la tua storia”,sussurra. 

E io non voglio deluderla.

“Hai mai desiderato salire sulla macchina della polizia? Era nella lista dei miei desideri. Me lo sognavo tutti i giorni. 

Così, quando le sirene hanno cominciato ad avvicinarsi e le auto blu mi sono praticamente quasi finite addosso, ho sperato. Questa è la volta buona che ci salgo davvero. 

Mi chiamavano tutti, ma nessuno mi sentiva. 

È stato un vero peccato. Non hanno capito che non volevo salire sull’ambulanza, ma sulla loro auto. Volevo azionare la sirena.

Non hanno nemmeno voluto riportarmi a casa, da mamma. 

Sono partiti in volata, verso l’ospedale. 

Continuavo a dire loro che stavo bene, ma i grandi non sempre ascoltano i bambini. 

Correvano avanti e indietro dicendo parole difficilissime che non so ripetere. 

Poi mi hanno portato in una stanza fredda, senza colore, senza quadri, senza specchi. 

Mamma era lì, in piedi davanti ad un strano tavolo con le rotelle.  Mi stava aspettando.

-Sono tornato!- le ho gridato -Non è vero che tutti quelli che scompaiono non tornano!-

Io parlavo. Lei non mi sentiva.
Forse se smettesse di piangere potrebbe sentire quello che le dico, ho pensato. Ma lei non smetteva e non poteva sentirmi.”

“Forse io ti sento perché non piango?” 

Agnese mi afferra anche l’altra mano e mi guarda dritto negli occhi in attesa di una mia risposta. 

Io lo so perché lei può sentirmi. Non c’entrano le lacrime.

Me lo ha spiegato papà. 

L’ho rivisto, poco dopo che mamma è uscita disperata, da quella stanza fredda, sorretta da due infermieri.

Papà è arrivato, ha dato un bacio a mamma, ma lei non se n’è nemmeno accorta. 

Lui mi ha preso in braccio e mi ha chiesto scusa per essere scomparso. 

Avrebbe voluto tornare. 

Avrebbe voluto proteggermi, ma le persone che scompaiono, non tornano come vorremmo noi. 

Ho provato a spiegarlo anche a mamma. Ma non mi sente.

L’unica che mi sente è Agnese.

Vorrei dirle tutto, farlo capire  anche a lei. 

Ma non spetta a me. 

Allontano le mie mani dalle sue e le faccio cenno di seguirmi. 

In un angolo, davanti a noi c’è sua madre. 

Non l’aveva vista. Era così impegnata ad ascoltare la mia storia che non se n’era accorta. 

Le corre incontro.

La chiama.

“Sono tornata” dice.

Ma lei non ascolta,  piange e non la sente. 

Agnese posa un bacio sulla fronte di sua madre, poi si volta verso di me.

Mi porge la sua mano e io la afferro.

Sono felice.

È bello avere un’amica.

Dicembre 2023

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