Alessandra Lavica
Come stai?
ANNO 02 | NUMERO 15 | GEN 2024
― Come stai?
Da quando hanno smesso di chiedermelo?
Ho una sorella minore, nata prematura, che ha passato quaranta giorni in incubatrice.
― Capisci? Ti svegli dall’anestesia e tua figlia non c’è. La vuoi sapere qual è la prima cosa che pensi?
― No.
― Pensi che sia morta.
Non potevo competere; sana, bella, forte, sorridente. Non avevo più bisogno di attenzioni? Improvvisamente grande, a sei anni. Dopo pochi giorni era il mio compleanno, chissà se si sono ricordati di festeggiarlo.
― Come stai?
Meglio non chiederlo ad una adolescente. Poi bisogna ascoltare la risposta. E chi sarebbe stato capace, in famiglia, di insegnarmi a gestire le emozioni? A tradurre il corpo che cambiava? In una famiglia in cui è sempre in scena il melodramma, non c’è spazio per l’empatia, per il contatto con la realtà.
— Come stai?
Sono adulta, ho ventidue anni. Sarà il momento buono ora? Me lo chiederanno?
No.
Papà monopolizza l’attenzione. Sono proprio io, in cucina, di notte, a bloccarlo mentre maneggia con il forno a gas.
— Vuoi ucciderci tutti?
Scappa lungo le scale. Quelli dopo sono anni, per lui, di risalite e ricadute.
Ed io sono un ‘mostro’ di solidità, costanza, abilità.
― Come stai?
Nemmeno ora è il mio turno. Ho mio figlio nella fascia, sul petto, passeggio per strada tra una poppata e l’altra.
― Come sta? Ha le coliche? Piange? Di notte dorme? Mangia? Ha preso il peso giusto?
― Come stai?
Questa volta è rivolto a me. E non so cosa rispondere. Ho una malattia subdola, invisibile. Non sono abituata a questo interessamento. Mi sono preparata delle risposte: vaghe per rispondere agli sconosciuti; tecniche se me lo domanda un collega; emotive se sono con un amico; se mi interroga un nemico.
― Va a giornate…
― La terapia funziona, ma gli effetti collaterali sono pesanti.
― Meglio.
― Stabile, dai.
― Mah, sono abbacchiata ma tengo duro.
― Non ne posso più, se non passa questo dolore mi ammazzo, davvero.
― Bene, dai figurati non è niente di grave!
Gennaio 2024