Angelo Lachesi
Il desiderio di assoluto
ANNO 02 | NUMERO 16 | FEB 2024
Erano attacchi improvvisi: si presentavano quando rimaneva solo, in silenzio, e in quegli attimi fugaci rimaneva attonito a fissare il vuoto dinanzi a sé. A volte, accadeva prima di dormire; altre volte dinanzi alla TV dopo la fine di un film. Lo accompagnava sempre una sensazione indefinita, come di vuoto, quasi sentisse che, nel profondo, gli mancava qualcosa. Non sapeva di preciso di cosa si trattasse, percepiva sempre e soltanto una vaga sensazione di mancanza.
Oniro aveva una moglie, due figli, due auto, una casa in città e una al mare, un cane e un ottimo impiego presso gli uffici della motorizzazione civile. Giocava a golf, aveva molti amici tra i colleghi e i vecchi compagni di università, andava in vacanza in tutte le stagioni, almeno quattro o cinque volte l’anno. Collezionava orologi, amava il brunch domenicale e le gite in montagna.
Non era insoddisfatto della sua vita, tutt’altro. A cinquant’anni, aveva ottenuto tutto ciò che aveva desiderato in gioventù: una famiglia e una vita ordinaria, borghese e benestante. Da dove nascesse quell’elemento indefinito, analogo ad un malessere, proprio non lo sapeva. Fu così che per anni visse quei momenti come frammenti di inquietudine nella routine della sua vita in apparenza perfetta.
Fu la morte improvvisa della zia a far sorgere in lui una crisi. Apparentemente in buona salute, la donna, da poco superati i settant’anni, fu colta da un ictus mentre era al mercato.
Allo sgomento per il trapasso della zia, si sostituì, dopo pochi giorni, una sensazione di angoscia dovuta all’idea di precarietà della vita. Come se i brevi e rari momenti di vuoto che prima lo tormentavano, ora si dilatassero in giornate intere senza che potesse darsi una spiegazione. La sua vita proseguiva sempre uguale a se stessa: lavoro, famiglia, vacanze e cene con gli amici. Nulla di nuovo, nulla di diverso. Eppure, l’angoscia lo tormentava. Saliva improvvisa, mentre non se l’aspettava e lo logorava per ore, a volte per giorni interi. Chiese aiuto a diversi specialisti i quali gli spiegarono che una crisi è normale alla sua età; che la vita ne presenta molte e che, probabilmente, l’evento luttuoso aveva scatenato in lui il panico. Ma furono motivazioni troppo generiche di cui non riuscì ad accontentarsi. Riflettendo a lungo, capì di sentirsi preda di una sensazione di vanità, come se la sua vita, così invidiabile dall’esterno, fosse in realtà minata da una sensazione di fine imminente. La morte della zia aveva semplicemente esacerbato questo senso di finitudine.
Oniro non andava quasi mai in chiesa se non a Natale, per i matrimoni e i funerali. Gli era stata impartita un’educazione cristiana per nulla rigida e poco incline ad assecondare le regole. Così, crebbe con indifferenza nei confronti dell’idea di Dio ma assecondando i principi religiosi per puro conformismo. Si fece la comunione, si sposò in chiesa, battezzò i figli perché è ciò che facevano tutti nella sua comunità. Ma qualcosa cambiò. Sentì che aveva bisogno di alcune risposte che la sua vita da impiegato, padre di famiglia e vacanziere, non poteva dargli.
Una domenica, con grande stupore della moglie e dei figli, si recò in chiesa. La sera prese a leggere le sacre scritture e, nei giorni successivi, ebbe diversi colloqui con il sacerdote della parrocchia. Iniziò persino a pregare. Molto spesso, dopo il lavoro, si recava in chiesa. Gli piaceva l’idea di poter avere un contatto con Dio, un rapporto diretto, quasi personale.
Bastarono poche settimane e Oniro smise di andare a messa, parlare col prete e leggere testi sacri. Comprese che non cercava una risposta religiosa contenuta nei libri o nelle parole di un ministro della chiesa. Ciò che destava interesse in lui era il rapporto con Dio. Riflettendo a lungo, capì cosa significasse per lui Dio e quel significato lo allontanò dai principi religiosi che aveva abbracciato poco prima; anzi, lo allontanò da qualunque forma di religione. Era attratto dall’infinito e vedeva nell’idea di Dio ciò che più si avvicinasse a questo concetto. Lo intendeva come un’entità al di fuori dello spazio e del tempo, senza limiti, un Dio interamente presente in ogni particella del mondo e dell’universo. Un Dio che rappresentasse l’antitesi alla finitudine umana.
Il suo obiettivo divenne quello di istituire un rapporto diretto con l’infinito presso la propria abitazione. Nel garage di casa aveva costruito un piccolo altare sul quale aveva posto alcune effigi che, ai suoi occhi, rappresentavano la connessione stessa con l’infinito.
Complice la malcelata derisione dei familiari, che ironizzavano sulle sue preghiere dirette ad un ente indefinito, Oniro abbandonò anche il proprio culto domestico. Rimase in lui, tuttavia, un’aspirazione all’infinito costantemente disattesa, accompagnata da un senso di vuoto e una vaga frustrazione.
Era un pomeriggio insolitamente caldo. Oniro era in attesa dal dentista per il suo solito controllo di routine. Stanco di leggere le mail di lavoro sul telefono, guardò le riviste impilate sul tavolino, accanto alla sua sedia. Ne afferrò un blocco di una decina e le ispezionò facendole scorrere una dopo l’altra. Selezionò una rivista di politica e cultura contemporanea. La sfogliò, tediato, quando si imbatté in un articolo che trattava della divinazione. Poche pagine in cui, dopo una breve disanima delle forme di divinazione nelle civiltà del passato, si analizzava la presunta capacità di ottenere informazioni da fonti soprannaturali. Non terminò la lettura perché fu invitato dall’assistente del dentista ma quell’articolo lasciò in lui un segno evidente.
Nei giorni successivi non si diede pace. Lesse tutto ciò che riuscì a reperire riguardo alla divinazione. Utilizzò tutte le fonti: internet, enciclopedie, testi divulgativi e persino libri esoterici. Lo colpì, in particolar modo la brugmansia arborea, una pianta i cui preparati portano ad allucinazioni utili per la divinazione. Lesse anche di come molte tribù lo utilizzavano per preparare bevande allucinogene durante i cerimoniali religiosi e di come gli sciamani la assumevano per entrare in contatto diretto con la divinità.
Impiegò mesi a cercare la sostanza di cui aveva bisogno. Tutte le sere trascorreva ore e ore ad effettuare le sue ricerche finché riuscì a trovare un coltivatore messicano che fu disposto, dietro lauto compenso, a fargli avere la sostanza. Il venditore lo mise in guardia, tuttavia, riguardo ai potenziali effetti collaterali del suo utilizzo. Agendo sul sistema nervoso, spiegò, può portare ad allucinazioni, spasmi, convulsioni e, in dosi massicce, anche al coma o alla morte.
La mattina, quando gli fu recapitata dal corriere, Oniro si sentì felice come se avesse a disposizione il Sacro Graal. Il solo pensiero che il contenuto di quel pacco potesse esaudire il suo desiderio di contatto con l’infinito, lo inebriava.
Quel giorno a lavoro pensò in continuazione alla piccola bottiglia. Un pensiero fisso che si tramuto quasi in tormento. La sera, giunto a casa, salutò la moglie e i figli, poi si recò in garage con la bottiglia celata nella tasca interna della giacca. Appena richiuse il portellone dietro di sé, sfilò la bottiglia e guardò il contenuto trasparente con intensità straordinaria. Le mani iniziarono a sudare, il cuore a palpitare. Stappò il tappo. Un brivido freddo gli corse lungo la schiena. Ne annusò il contenuto. Profumava di fiori ed erbe aromatiche. Ne assaporò un goccio. Aveva un sapore amaro, come di limone ma senza la componete acida. Si umettò di nuovo le labbra come a volerne testare ancora il sapore poi respirò a fondo, strinse la bottiglia con la mano e la portò alla bocca. Ne trangugiò il contenuto in due lunghe sorsate. Appoggiò la bottiglia per terra, accanto alla ruota della macchina e attese che accadesse qualcosa.
La prima a insospettirsi fu la moglie, preoccupata per l’insolito ritardo del marito il quale era sempre il primo a sedersi a tavola per cena. Dopo che il telefono squillò più volte a vuoto, mandò il figlio a cercarlo nei paraggi. L’uomo sembrava sparito. Intorno alla mezzanotte la moglie decise di allertare le forze dell’ordine e alcuni vicini di casa. Uscirono diversi gruppi di persone a passarono al setaccio il quartiere. I timori della moglie si concentrarono su un rapimento in quanto, conoscendo il marito, dubitava che potesse allontanarsi volontariamente.
Fu il vicino del terzo piano a vederlo per primo. Oniro era al parco, a circa due chilometri dalla sua abitazione. L’uomo, nella semioscurità, indugiò lunghi secondi ad esaminare Oniro che urlava, completamente nudo e si dimenava menando le braccia per aria in maniera scomposta. Quando lo chiamò, con la voce strozzata dallo stupore, non si girò nemmeno, continuò ad urlare e a grugnire gettandosi a terra e rotolando sull’erba. Il vicino allora fece qualche timido passo e lo chiamò nuovamente, questa volta con tono paterno. Oniro si irrigidì, si mise a quattro zampe ed emise dei grugniti cavernosi prima di staccare degli steli di erba dal terreno e masticarli con voracità. Il vicino implorò il cielo di fermarsi poi gli chiese cosa gli passasse per la testa ma Oniro continuò a grugnire e a masticare. L’uomo, allora, provò a porgergli una mano, senza esito, poi, cercò di sollevarlo da terra. A quel punto Oniro si mise in ginocchio, col viso rivolto verso l’alto guardando il vuoto. Rimase immobile per alcuni secondi con la bocca digrignata mentre il vecchio continuava ad invitarlo a rialzarsi. Poi balzò in piedi, urlò, e scappò via.
Dopo che il vicino diede l’allarme, la Polizia lo trovò a poche centinaia di metri, completamente sporco, con le unghie e i denti neri mentre cercava di accoppiarsi con un arbusto.
Dovettero faticare non poco per immobilizzarlo e portarlo in ospedale. Qui, dopo averlo sedato e aver proceduto con una lavanda gastrica, lo lasciarono dormire tutta la notte.
Al risveglio, l’uomo non fu più lo stesso. Il delirio del giorno precedente sembrava si fosse impossessato di lui. Urlava, si dimenava con forza, si strappava i vestiti di dosso, si graffiava la pelle e masticava qualunque cosa gli capitasse sottomano. Come una belva rabbiosa, sembrava non cogliere più alcun significato nelle parole o nei gesti degli uomini. Non interagiva più con nessuno, e non emetteva versi che non fossero grugniti strazianti. A volte, si immobilizzava e, in quei rari attimi, il suo sguardo vagava nel vuoto senza requie poi, all’improvviso, riprendeva a urlare e a dimenarsi colpendo ogni cosa in un delirio di feroce devastazione.
Oniro passò il resto dei suoi giorni in un manicomio, preda di una follia che i farmaci non poterono mai sanare.
La moglie e i figli, disperati e increduli per la situazione che appariva tanto tragica quanto insensata, si chiesero per tutta la vita se stesse vivendo quell’unione mistica con l’assoluto a cui tanto aveva ambito. Nei momenti in cui Oniro si fermava a osservare il vuoto con la sua serenità perturbatrice, si domandavano se il suo fosse un delirio mistico, qualcosa di assurdo e inspiegabile che lo proiettasse oltre la logica di questo mondo oppure fosse semplicemente una condizione di assoluta, involontaria, follia.
Febbraio 2024