Gennaro Saviano

Il magazzino

ANNO 02 | NUMERO 16 | FEB 2024

Per un giovane di ventiquattro anni in cerca di lavoro e in possesso di due lauree, ottenute nei tempi stabiliti, un tale impiego potrebbe andare bene. D’accordo, è un lavoro provvisorio, la paga non è molto alta, ma è comunque utile per consentirgli di pagare le bollette e qualche divertimento. Queste parole ha usato la donna dell’agenzia di lavoro, una biondona statuaria e ben vestita. Dopo averle usate, la donna è scoppiata a ridere. La risata era stridula e fastidiosa. Lui a sentirla ha provato un grande imbarazzo.  

Il colloquio si è svolto il 12 settembre, un Venerdì molto caldo e col cielo sereno e il sole che picchiava e spaccava le pietre. 

Lui ha iniziato a lavorare tre giorni dopo. Durante il colloquio ha pronunciato giusto il nome e il cognome, qualche sparuto e incerto sì e qualche più frequente e deciso no. È un lavoro temporaneo, ha pensato. Un mese, forse due o tre, e poi ne sono fuori. E per giunta con un piccolo gruzzolo da poter usare per qualcosa di migliore. 

Ha accettato la proposta.

Oggi è il 29 marzo. È rimasto inchiodato qui. Ha tentato altre strade: ha mandato curriculum, ha chiesto in giro, si è registrato a numerosi annunci di lavoro. Ma niente. Tommaso è  da sette lunghi mesi uno dei tanti magazzinieri che operano nelle sede aperta dalla multinazionale di commercio elettronico nel paese accanto a quello in cui lui è nato e cresciuto. Due paesoni alle porte di Napoli, di quelli in cui strade sono per metà una cittadina e per l’altra metà ne sono un’ altra. Posti dove le prospettive sono nulle e quindi si prende quel che passa il convento. 

Oggi deve incontrare il delegato sindacale: ha una questione urgente da sottoporgli. 

«Ci sarà?» Tommaso domanda al suo collega, Antonio. Lui si sistema i fondi occhiali e non gli risponde: forse non ha nemmeno sentito la domanda. Si gratta la testa pelata, prende dal ripiano una lampada e la ripone nella scatola sul nastro trasportatore. La chiude e infine risponde: «Boh, chissà.» Ha sempre quel tono monotono, lui: mette malinconia già soltanto a vederlo, e a sentirlo. Dimostra molto più dei sessanta anni dichiarati.  

Fissava la scatola mentre ha parlato. 

Tommaso prepara i pacchi, stando ben attento a non rovinare la merce: prima inscatola un orologio da uomo, quindi un set di coltelli da cucina e infine il nuovo romanzo di uno scrittore sudafricano, vincitore del premio Nobel. Tommaso ha letto il precedente libro di questo autore. È stato uno dei primi acquisti fatti con lo stipendio. 

Ora gli passa davanti una microcamera spia. 

Chissà chi ha acquistato quest’oggetto. E perché. Da quanto non gli veniva questa curiosità. Nei primi giorni di lavoro, invece, succedeva sempre. Commentava con i colleghi gli acquisti dei clienti, per quanto fosse possibile, mentre questi passavano sul nastro trasportatore. Poi hanno smesso. 

«Ehi» sussurra alla ragazza che ha accanto. Si muove di qualche passo per farsi sentire meglio. Indica con il mento la microcamera e la infila nella confezione: «Chi pensi possa aver comprato questa roba?»

Lei non risponde, occupata con i prodotti che le sono stati assegnati. Tommaso non dovrebbe, ma prosegue comunque: 

«Forse hanno paura dei ladri o non si fidano della badante o di chi gli guarda i figli, che dici?»

Sonia non ribatte. Lei ha iniziato negli stessi giorni di Tommaso. 

Lui prova a cambiare argomento: 

«Giornata dura?» Ha un sincero interesse. 

Sonia, di nuovo, non risponde: è troppo indaffarata a smistare la roba che le si presenta davanti con velocità impressionante. Tommaso rinuncia. Riproverà dopo. 

Lui ha passato una brutta giornata. O per essere più precisi, uguale a tutte le altre: si è svegliato da un sonno difficile (come sempre da qualche settimana a questa parte), ha fatto colazione, una doccia veloce e ha ciondolato in casa in attesa di venire a lavorare. 

Tommaso vorrebbe conoscere il risultato del Napoli a Cagliari. Qui Internet non prende, ma comunque anche se prendesse non avrebbe un secondo libero per controllare l’andamento della partita. 

Dario, un collega, ha portato una radiolina. Ma Michele, uno dei capireparto, l’ha vista e requisita. E ha gli promesso con aria minacciosa: 

«Te la ridò quando finisci il turno.» Michele segnerà questo gesto di Dario come negativo nella scheda di valutazione, lo sanno tutti. E il passo successivo sarà il licenziamento di Dario, che non riceverà nemmeno una pur magra liquidazione: la politica della compagnia è nota su questo punto. Tommaso ha assistito alla scena: gli è venuta spontanea l’associazione con Il secondo tragico Fantozzi. Da ragazzo rideva quando vedeva questo film, questa scena. 

Ora non gli viene da ridere.

Nella sua testa le parole di Michele, distorte e rumorose come una orrenda musica da discoteca: «Quando finirai il turno…». Il turno finirà tra sei ore. A quell’ora saranno così stanchi che vorranno soltanto ficcarsi sotto le coperte. 

Qualche Sabato fa, a fine turno, qualcuno ha proposto di andare a mangiare una pizza. Era poco dopo le 22, non troppo tardi. 

«Sta a Frattaminore, la fa buonissima» ha perorato la causa quello, come si chiamava? Tommaso non ricorda il nome. Fatto sta che il tizio era davvero galvanizzato da questa proposta. Un entusiasmo incongruo. Ma lui e Sonia e tutti gli altri erano distrutti e la proposta è caduta nel vuoto. 

Il tipo dopo due settimane è stato segato. 

Lui appena finirà il turno andrà dal dirigente sindacale. Speriamo che stavolta ci sia. Il primo giorno non era in ufficio. Tommaso gli ha telefonato e lui gli ha chiesto di tornare un’altra volta. Ma anche il secondo appuntamento è saltato. Questione di pochi minuti: Tommaso, impegnato in alcuni straordinari, non è riuscito a liberarsi in tempo e il tale stava terminando l’orario di ricevimento. Hanno fissato un altro incontro. Tommaso si è presentato senza grandi aspettative. Anche stavolta nulla di fatto. 

«Era qui un momento fa, ma poi non l’ho più visto» gli ha detto il tipo che sta col delegato nell’angusto ufficio. Un sorriso sulle sue labbra. Nella stanza un forte e persistente aroma di sigarette scadenti. 

«Chissà se ci sarà questa volta» si chiede ad alta voce Tommaso. 

Sonia ascolta, alza testa e lo guarda interrogativa. La ragazza inscatola un giocattolo sessuale, un… com’è che si chiama?… quella cosa che si vede in Pulp Fiction nella parte dell’episodio con Bruce Willis, il boss e i due pervertiti. Sonia e Tommano fissano l’oggetto. Lei lo ripone nella scatola e la chiude. La fantasia del ragazzo prende il sopravvento e galoppa. Immagina Sonia nuda. Lei tiene quel bavaglio in bocca e lui le stringe i fianchi mentre la penetra da dietro. 

Tommaso avvampa imbarazzato e scaccia la fantasia come un ospite molesto e indesiderato. Sonia sembra intuire che qualcosa non va e gli chiede: 

«Ehi, che succede?» La sua voce, come del resto il viso, è molto dolce. 

Tommaso ridacchia e finge noncuranza: «Niente…» 

Non è una brutta ragazza. Lunghi capelli ricci e neri, occhi verdi, labbra carnose e piene e a quanto pare un seno generoso. L’altro giorno, mentre si cambiava nello spogliatoio, ha sentito due colleghi parlare, con gli altri che ascoltavano: uno di loro, vecchio compagno di scuola della ragazza, ha raccontato che lui e Sonia sono andati, un paio di volte, al mare. Ha detto che ha due tettone abbondanti e un bel culone burroso da prendere a morsi. Ha fatto un sacco di mosse oscene e versi animaleschi che hanno suscitato l’approvazione dei compagni.   

Tommaso prende il toro per le corna e con esitazione si fa avanti: 

«Ehi…» Sonia lo fissa e continua allo stesso tempo con le sue mansioni. 

Tommaso snocciola di fretta, come se avesse timore di dimenticare quello che vorrebbe dirle: «Ti andrebbe di uscire uno di questi giorni? Non so, andare a bere una cosa, fare una passeggiata, vedere un film, qualcosa così?»

Lei accenna un tenero e timido sorriso. «Solo io e te?» 

Tommaso annuisce convinto. 

Lei tituba: «Ci devo pensare…» Tommaso, quasi sconfitto da questa risposta fa per ribattere, ma Sonia lo precede e parla con un tono che apre alla speranza: «Cioè, voglio dire… Mi farebbe molto piacere uscire con te, ma sai, tra lavoro e studio non è che abbia molto tempo libero…» Sonia aspettava da molto una proposta del genere da parte sua. 

Tommaso tenta di dissimulare la propria soddisfazione:

«Sì, ti capisco. Pure io quando studiavo non riuscivo a organizzarmi la vita.» Rialza la testa: 

«Allora mi dici tu quando potrai?»

Lei sorride benevola: «Certo… Ti mando un messaggio io.» Te lo mando stasera stessa. Ti chiedo di andare a prendere un caffè Domenica

Tommaso annuisce, contento. A questo punto, nel magazzino si sente un vocione: 

«Ma che credete, che siamo al bar? Che volete? Un caffè? Delle patatine?»

A parlare è stato Roberto, il caporeparto di questo turno. 

Roberto è in pochissimi secondi davanti a Sonia e a Tommaso. «Allora? Mi rispondete? Dove siamo qui?»

«In magazzino» risponde Tommaso tra l’infastidito e il sarcastico. 

L’ironia di Tommaso esacerba Roberto: «E che facciamo qui?» Tommaso lo sogguarda, i pugni chiusi e la mascella contratta.

Sonia interviene con sfrontata prontezza: «Smistiamo gli acquisti dei clienti della compagnia.» Roberto la scruta dall’alto in basso. Si sofferma qualche secondo di troppo sulle forme della ragazza. 

Il caporeparto conclude sarcastico: «Quindi, non ci perdiamo in chiacchiere inutili come delle capere.» Contorce le labbra in un sorriso grottesco e ammonisce con voce autoritaria: «Tornate al lavoro che altrimenti ci bloccate l’intera filiera.» 

Roberto punta ancora i suoi occhi concupiscenti verso Sonia. La ragazza si stringe tra le braccia, per difendersi da quello sguardo famelico: Tommaso le mette una mano sulla spalla per confortarla. Roberto sbuffa beffardo e se ne va. 

A metà gennaio, ha umiliato in pubblico e sanzionato un vecchio magazziniere, reo a suo dire di aver ripreso tardi il lavoro: gli ha fatto una piazzata violenta alla quale l’uomo ha contrapposto un dignitoso silenzio. Tommaso crede che Roberto sarebbe capace anche di far continuare il lavoro anche se morissero tutti. Pare che in qualche sede sia successo: gente costretta a lavorare comunque, anche in presenza di un cadavere accanto. Ma forse è una leggenda metropolitana. 

Anche Tommaso è stato multato da Roberto. 

Lui si era allontanato dal nastro perché gli scappava e non riusciva a trattenerla. Quando è tornato dal bagno ha trovato Roberto al suo posto, rosso come un peperone. Il caporeparto gli ha ringhiato: «Dove cazzo sei andato? Eh?» 

Tommaso si è giustificato. Roberto ha ascoltato con insofferenza e poi gli ha sibilato: 

«Comunque non era il tuo turno di pausa e dovevi restare lì.»

Sonia e Tommaso riprendono a inscatolare: borse, fumetti, pentole, siringhe, jeans, camicie, perfino una motosega elettrica. 

La compagnia vende tutto. Tutto, tutto, tutto quello che si può immaginare. 

Alle 13 in punto, scatta la pausa pranzo. Sonia mangia una insalata di pollo. Tommaso un panino con prosciutto e formaggio. Sono insieme agli altri in sala mensa, accanto allo stanzone con i nastri trasportatori. 

Roberto si avvicina. Sonia guarda Tommaso e gli mima le parole: lascialo perdere. Lui fa di sì con la testa. Il caporeparto li raggiunge a capotavola, dove sono seduti, poggia i palmi della mano sul tavolo e resta un momento in silenzio.   

Inizia con tono all’apparenza pacifico: «Ho ripensato a prima…» Sonia e Tommaso si guardano poi tornano con diffidenza su Roberto. Lui alza le mani dal tavolo, scrocchia le dita e sbuffa seccato: «Avete fermato il lavoro per alcuni secondi…» 

Tommaso apre la bocca, ma Roberto lo ferma con un gesto della mano. Tommaso si ammutolisce. Il caporeparto prosegue mellifluo: «…E, beh, credo di aver sbagliato.» 

Sonia fa per dire qualcosa, ma anche stavolta Roberto alza la mano sinistra per ordinarle di fare silenzio. Sarcastico, riflette: «Un rimbrotto verbale è troppo poco, suppongo.»

Si liscia il pizzetto e sorride con aria scherzosa: 

«Da domani e per tutta la prossima settimana resterete qui altre quattro ore dopo la fine del vostro turno.» Nessuno fiata, né Sonia né Tommaso né tantomeno gli altri che stanno al tavolo e assistono al monologo del caporeparto, che lo conclude con sarcastica premura: «Quindi non prendete impegni per questi giorni.» 

Sonia e Tommaso non protestano. Roberto non abbandona quel sorriso strafottente e offensivo: 

«Questi straordinari non saranno pagati. Ah, a proposito: vi decurtiamo la paga del trenta per cento.»

Roberto se ne va baldanzoso. Fischietta felice. Sonia e Tommaso si guardano, hanno un moto di disgusto. 

Sonia posa la forchetta nella vaschetta dove prima c’era l’insalata. Le viene un pallido sorriso: 

«Be’, almeno saremo insieme in questi giorni.» Tommaso cerca di sorridere a sua volta, ma non riesce. 

Lei guarda Tommaso e gli propone disponibile: «Puoi accompagnarmi a casa quando finiamo.» 

Tommaso dice chiaro e tondo: «L’unico aspetto positivo di tutta questa faccenda.» Avvoltola la busta di carta dove prima c’era il panino. 

È sera, fine turno. Tommaso va nello spogliatoio, si toglie i guanti e il gilet catarifrangente con impresso il simbolo della compagnia e li ripone nell’armadietto. È da solo nello spogliatoio. Va al lavandino, apre il getto dell’acqua calda, si lava mani e faccia una volta, una seconda, una terza, una quarta. 

Esce dallo spogliatoio, supera lo stanzone con i nastri, supera il padiglione principale del centro smistamento, apre la porta. È nello spiazzo che funge da parcheggio dei camion che arrivano con la merce. È sera, ma non fa troppo freddo: la primavera si avvicina. Tira su col naso, attraversa lo spiazzo deserto e illuminato. In pochi secondi è al padiglione con gli uffici. La porta è aperta. Entra, sale la scala e arriva al primo piano, dove è l’ufficio del rappresentante sindacale. Percorre il breve corridoio e si trova davanti alla porta. Bussa. L’uomo risponde: 

«Avanti.»

Tommaso entra.

Febbraio 2024

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