Vincenzo Carriero
Padre nostro
ANNO 02 | NUMERO 17 | MAR 2024
Padre nostro che non so dove sei, ti prego, vienimi a salvare. Tu lo sai – che te lo dico a fare – cosa si prova quando un figlio sei costretto a lasciare andare. Dopo una vita condivisa col mio compagno, lavoro, casa e rate da pagare, quel desiderio – che tu pure ci hai descritto – quello puro, che mica è stato egoismo, insomma, ho cominciato a sognare un figlio. Non ci ho mai creduto a quella cosa dello Spirito Santo, ho sempre avuto fede nel corpo, nel piacere dal seme caldo, nell’attesa del mestruo, eppoi, finalmente, la sua latitanza. Ce n’è voluto di tempo, ma quando è stato, io, proprio io – ma tu ci pensi? – ho sentito la vita che scoppiava dentro. Il significato della mia esistenza stava tutto lì. Ho cullato il ventre, disegnato il suo profilo su di un foglio candido, ne ho immaginato lo sguardo, la stretta della sua manina appena dopo il primo pianto. Non vedevo l’ora di consolarlo. La sorpresa del battito, l’ecografia, l’utero retroflesso, la voce rassicurante del dottore. Andava tutto bene. Non ho mai voluto saperne il sesso. Ho liberato la stanza che usavo da sgabuzzino che piano piano è diventata la sua. Ne ho colorato le pareti, mille tinte di arcobaleno, un lampadario tutto stelle e lucine. Eppoi la culla, il corredino, il primo animale di pezza, un unicorno bianco sorridente che ancora aspetta, gli ho raccontato favole e mormorato canzoni, poi, un bel giorno, quella strana sensazione, un volo di farfalle, che emozione! Si muoveva, io e Marco a ridere e piangere di gioia, abbiamo fatto l’amore con gli occhi, coi baci abbozzati, con le carezze di mani fredde e rumorini e pernacchiette sulla pancia che cominciava a crescere.
Padre nostro che ti ho pregato mille volte, adesso per piacere ascolta, che a cinque mesi, quando è tutto fatto, tu questa cosa, proprio a me, non dovevi mandarla. Sai che si prova quando un dottore ti dice che ha sbagliato? Non è uno, signora mia, son due sorelle, e non sorride. Sono abbracciate, e si vogliono talmente bene da condividere lo stesso cuore. E io lì, che quell’uomo non riusciva a trattenere il groppo in gola, inebetita indifesa e assalita da un’ombra nera che mi girava intorno, due mani enormi a soffocare un pianto rotto, ho dovuto decidere.
Padre nostro che io ti chiamo e non rispondi, voglio sapere come hai fatto, ché mica sono come te, che quando muori risorgi, ci hai mai pensato? Sai che a non chiudere gli occhi ci vuole coraggio? Non le ho mai viste, non ce l’ho fatta, quando è successo ho sentito solo uno specie di rantolo. Spiegami ora, che non ho voglia di abbassare lo sguardo, a chi lo do questo seno gonfio di latte, che prendo le pillole per farlo ammosciare, ti rendi conto?
Spiegami pure, come fossi davvero mio padre, a che mi serve sopportare il bruciore per questo taglio, ad ogni passo, che stringo i denti ma non capisci, lo so, sei solo un maschio, non è ferita, ma maledetto oltraggio, il ricordo imperituro di quando, per un tuo sbaglio, ho dovuto uccidere. Perdo ancora sangue.
Amen.
Marzo 2024