Andrea Bagnasco

Il mare

ANNO 02 | NUMERO 18 | APR 2024

Alessandro scese dalla macchina e vide solo l’orizzonte lontano del mare confondersi con il cielo ancora scuro. Si era seduto per pochi istanti, con la portiera aperta. Aveva scritto un messaggio a suo fratello. Gli aveva detto che stavano bene, che erano sull’Aurelia da due ore, in quel punto dove lei li portava da piccoli a guardare le mareggiate, e che sarebbero ripartiti tra poco.

Il rumore delle onde che si infrangevano sugli scogli, trenta metri più in basso, fu più forte del suo istinto di urlare. Sarebbe stato inutile, non c’era più. Percorse piano i pochi passi che lo separavano dal parapetto di pietra. Non era sicuro di avere il coraggio di guardare giù. Poi, quando lo fece, c’era solo il mare.

Si chinò e raccolse da terra il foulard giallo e rosso. Rialzandosi, sorrise. Anche questa volta, aveva deciso lei.

Erano in macchina da più di un’ora, girando senza una meta per le strade buie di Milano, quando gli aveva detto che avrebbe voluto vedere il mare.

– Ma non so se riusciamo a tornare in tempo, aveva detto Alessandro. Domani ci aspettano alle sette.

– Non importa, aveva detto lei.

– Sicura?

– Sì.

Alessandro aveva continuato a guidare in silenzio, superando altri tre o quattro semafori. Poi, dopo la rotonda vicino all’Università, aveva accostato e l’aveva guardata, cercando i suoi occhi. Lei aveva tenuto lo sguardo fisso davanti a sé, rannicchiata nel sedile.

Alessandro aveva fatto partire “Automatic for the people” dei R.E.M. nell’autoradio, aveva fatto un sospiro, poi le aveva detto: Andiamo.

Era precipitato tutto quando era arrivata a casa l’infermiera, quella sera. Le faceva un’iniezione due volte al giorno, una ogni dodici ore. Per salvarle la vita, avevano detto i medici.

– Mandatela via, aveva detto sua mamma, io non prendo più niente.

– Cosa?, aveva detto Alessandro.

– Non prendo più niente. Intanto domani muoio.

– Ma cosa stai dicendo, mamma? Non camminavi così la settimana scorsa. Domani mattina farai un’altra cura e starai meglio, vedrai.

– Ho detto di no, basta.

Era stato in quel momento, mentre suo papà, dopo tutte le notti insonni, era crollato sul pavimento e aveva stretto le gambe dell’infermiera chiedendole tra le lacrime di aiutarli, che Alessandro aveva proposto a sua mamma di andare a fare un giro in macchina. Magari si sarebbe addormentata, come una bambina cullata dal rumore del motore e dalle vibrazioni del sedile, e la mattina dopo l’avrebbe portata in ospedale. Sperando che l’iniezione non servisse, per superare quella notte.

Alessandro non si era reso conto che sua mamma fosse già morta, da tre mesi. Da quando, in un istante, si era accasciata su un marciapiede, con la schiena appoggiata alla vetrina di una libreria. 

Lei invece lo aveva saputo dall’inizio. Quando la facevano passare da un esame all’altro, tra attese infinite in mezzo alle piante di plastica delle sale d’aspetto, senza che nessuno sembrasse interessato a capire che cosa avesse davvero. Quando papà l’aveva portata in macchina al bar vicino a casa, perché non se la sentiva più di camminare, anche solo per due isolati. Quando aveva tentato di scrivere un biglietto per la sua amica Michela e la mano l’aveva tradita, lasciando sul foglio soltanto delle linee tremanti. Quando si era messa una camicia colorata, una collana e un filo di rossetto per andare a fissare negli occhi un medico che dava finalmente un nome a quello che la stava devastando. 

Lo sapeva, era già morta, ma voleva vedere un’ultima volta il mare.

Aprile 2024

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