Nicolò Carzaniga

Stanno arrivando

ANNO 02 | NUMERO 23 | SET 2024

Michele sfrecciava a cento all’ora sulla statale. Roba da fantascienza, impensabile in settimana, soprattutto la mattina o nel tardo pomeriggio. Quando giocava l’Italia però era un altro mondo, lo sapevano tutti. La strada era sgombra come dopo un’evacuazione: un deserto d’asfalto puntellato di benzinai, autolavaggi, capannoni dalle facciate scrostate. Desolazione pura, fino all’orizzonte. In giro solo pochi stronzi e qualche sfigato, proprio come lui. E come i poliziotti di pattuglia che avrebbero voluto essere altrove.

Quello che gli aveva fatto cenno di accostare subito dopo il semaforo era poco più di un ragazzo, coi Ray-Ban a goccia e un’aria da primo della classe che si improvvisa a fare il duro. Probabilmente aveva alzato la paletta ancora prima del verdetto dell’autovelox.

Michele spense l’autoradio e abbassò il finestrino. La macchina era in ordine, aveva fatto anche il tagliando e il cambio gomme invernale. Solo all’ultimo però si ricordò di avere indosso la maglietta di Totti, quella azzurra con il nome e il numero dieci color oro e si affrettò a tirar su la zip della felpa.

 “Mi spiace, agente, ma sto correndo dai miei genitori.” esordì con calma. 

La frase gli uscì di getto. Tanto vera quanto potenzialmente assurda, considerate le circostanze.

“Davvero, mio padre sta male.” aggiunse poi con un mezzo sorriso, allungando patente e libretto.

Il poliziotto rimase impassibile a fissarlo dall’alto in basso. Sembrava attirato più dalle pieghe del suo volto piuttosto che dai documenti. 

Un mezzo sorriso era una credibile via di mezzo, aveva valutato Michele, ben conscio che era un attimo passare dalla semplice cortesia alla presa per il culo, perché non si può avere un sorriso completo quando si va a trovare un genitore che sta male. 

Che poi sua madre non aveva detto proprio così. 

“Im-paz-zito,” aveva sillabato al telefono, “papà è impazzito”, proprio nell’esatto momento in cui lui finiva di ammonticchiare gli avanzi del sushi sul tavolino di fronte alla TV e sprofondava in poltrona. 

C’era sempre una sfumatura diversa negli appellativi riservati al padre in situazioni del genere. 

Era stato rimproverato come fuori di testa quando aveva violato la quarantena Covid scorrazzando in paese alla ricerca di cozze fresche per una voglia improvvisa di spaghetti allo scoglio.

Ne aveva combinata una delle sue quando aveva trascinato i bidoni della spazzatura davanti alla porta dei vicini per fargli imparare la raccolta differenziata.

Impazzito? No, quello non l’aveva ancora usato, ma entrare nei dettagli con un ragazzo della polizia locale non era decisamente la mossa giusta, tantomeno riferire il seguito.

 “Michele, mi hai sentito?” lo aveva incalzato la madre.

Il maxischermo aveva staccato dalla diretta stadio alle previsioni del tempo: bel tempo sparato, con tanto di piccoli soli sorridenti che occupavano ogni angolo di una Lombardia colorata tutta di verde. Lui aveva pigiato il bottone del muto e chiesto alla madre di ripetere.

 “Ha detto che se si avvicinano alla nostra proprietà li farà fuori uno dopo l’altro.” 

*

Michele parcheggiò davanti a casa dei suoi, con le prime gocce di pioggia che iniziavano a tamburellare sul tettuccio della macchina. 

Non azzeccano mai una previsione, pensò. In testa aveva ancora tutti quei piccoli soli sorridenti e mentre ficcava il verbale nel cassetto del cruscotto si sforzò di ricordare se avesse lasciato aperta la finestra di camera sua prima di uscire. Poi scese di velocità dalla macchina e improvvisò una corsetta attraverso il vialetto, fino sotto la veranda. Dal prato rasato di fresco iniziava a salire l’odore di terra bagnata.

Michele si guardò un attimo in giro, come in cerca di aiuto. Qualcuno che entrasse al posto suo lasciandolo libero di tornare a casa sua e godersi almeno il secondo tempo della partita in santa pace. Nessuno.

Contò fino a dieci ed entrò in casa.

Una puzza tipo di cantina gli pizzicò subito le narici, sostituendosi al piacevole odore di poco prima. Il padre era seduto sul bordo del divano, chino sul tavolinetto in vetro. 

Sul piano un numero imprecisato di spazzole, scovolini, barattoli di varie dimensioni, una manciata di pallettoni rosso fuoco con la capocchia dorata. E il fucile.

“Ciao, papà.”

 “Me lo dovevo immaginare,” bofonchiò il padre mentre faceva forza per chiudere un vasetto di plastica trasparente dal contenuto oleoso, “hai chiamato la cavalleria.”. 

La madre era immobile sulla soglia della cucina e puntò le mani sui fianchi.

“Volevo solo che nostro figlio fosse informato sulla tua ultima trovata, ecco tutto.”.

Il padre drizzò la testa e la fulminò con lo sguardo. 

“Te l’ho già detto, Wanda: questa è una faccenda che non si discute e… non è una trovata! Da Renato sono arrivati qualche giorno fa e lui è solo dall’altra parte del paese, lo vuoi capire che dobbiamo darci una mossa anche noi o no?”. 

Le parole gli si riversarono fuori legate tra loro da piccoli rantoli, con una perentorietà che poche volte avevo visto indirizzata a sua madre. 

“Io ho lottato per queste quattro mura, e sai bene quanto ogni centimetro quadro mi sia costato sudore e fatica in quell’ufficio di merda, non me la farò portar via così!”. 

“Luciano, hai finito? Vuoi che ci sentano tutti?”.

“Sai che me ne importa, che ascoltino pure quelle mezze cartucce! Parlano tanto ma figurati se qualcuno di loro ha voglia di sporcarsi le mani!”

Michele si rese conto di aver scatenato un fuoco incrociato col semplice ingresso in casa. Subito dopo però sua madre abbandonò il campo di battaglia e tornò in cucina sbattendo la porta. 

Lui rimase per qualche secondo in piedi come uno stoccafisso, incerto sul da farsi. Aspettò che il respiro a stantuffo del padre si fosse placato e, senza togliersi le scarpe, gli si sedette a fianco, circondandolo con un braccio attorno al collo.

“Dai papà,” provò con tono conciliante, “non siamo mica in un western, non puoi andare in giro a sparare come ti pare.”. 

Il padre si mise a frugare tra i cuscini del divano ed estrasse un giornale tutto spiegazzato. 

“È qui che ti sbagli.”. E glielo porse con la calma di un avvocato che sa di sfoderare la prova vincente.

“Pagina tre, prenditi tutto il tempo che vuoi.”

Un titolo scritto tutto in maiuscolo lasciava poco all’immaginazione.

Da domani si può sparare. 

“Ma… avevano detto che non saremmo mai arrivati a questo punto” commentò Michele, con gli occhi che già correvano alle prime righe.

“L’avevano detto,” rispose il padre sornione, “ma se non te ne sei accorto è cambiata la giunta. E finalmente è salita gente con le palle.”

Il giornalista c’era andato giù pesante, mettendo in grassetto alcune parole che finivano per comporre un filo conduttore di drammaticità crescente.

Invasione, danni alle proprietà, possibili malattie contagiose. La conclusione era anche peggiore dell’inizio, con quel “la cittadinanza è chiamata a fare la sua parte” che faceva tanto esortazione dei tempi andati.

Quello che gli faceva rabbia non era tanto l’artefice di quella spazzatura, ma suo padre che aveva colto la palla al balzo per prepararsi alla guerra in trincea.

Michele chiuse il giornale e si lasciò andare in un profondo respiro. Di tutte le alzate d’ingegno del padre quella era sicuramente la più grottesca.

Da come li avevano descritti nel giornale sembravano parte di una falange armata pronta a razziare nuovi territori. La loro storia, nota a tutti in paese ma tralasciata nell’articolo, risaliva ai primi anni novanta: con il fallimento della grande cava di ghiaia e il conseguente abbandono dell’area, qualche coppia aveva trovato un luogo sicuro per mettere su famiglia. In pochi anni, al riparo da strade e nuove edificazioni, si era creata una piccola colonia saltellante in quella che alcune associazioni animaliste locali volevano ora promuovere ad oasi naturalistica. 

Il problema era che ogni tanto qualcuno di loro si spingeva un po’ troppo in là, facendosi spiaccicare sulla tangenziale o sconfinando nel giardino di qualche villetta vicina. Niente di drammatico, ma a quanto pareva non tutti la pensavano così, in primis il nuovo sindaco che aveva trovato rimedio con un protocollo da far west.

C’era anche uno specchietto a lato dell’articolo che chiariva i limiti di quella particolare licenza di caccia: numero di persone consentite nell’area, permanenza e, soprattutto, distanze.

Dieci metri da tenere dai confini segnalati con nastro bianco e rosso.

Roba da matti. 

Considerando la vista e la mano tremolante degli ottuagenari pronti a far fuoco su qualsiasi cosa in movimento c’era da stare poco allegri. Sarebbe già stato un successo se qualche pallottola non fosse fischiata nelle case vicine, e un mezzo miracolo se i vecchi non si fossero sparati tra loro.

Lo scenario da guerriglia urbana si muoveva ormai in autonomia davanti agli occhi di Michele e ci volle il padre che gli faceva il verso in falsetto per farlo tornare in sé.

Il padre aveva messo su un broncio da bambino amareggiato.

 “La fai facile tu, dall’alto del tuo appartamento a Milano. A che piano sei? Quarto, quinto?”

“Terzo, ma questo ora che c’entra?”

“C’entra eccome! A te che te ne frega? Sei fuori pericolo, e al massimo avrai un vasetto di basilico e qualche fiore sul balcone!”

Il padre fece uno sbuffo irritato.

“E comunque ho deciso,” continuò mentre spingeva col pollice un bussolotto rosso all’interno del fucile, “hanno detto che ognuno deve fare la sua parte, e io non starò certo qui a perdere tempo con te mentre quei bastardi là fuori… proliferano!”

Proliferano.

Questa era la prova che si era anche documentato: in situazioni normali il padre non avrebbe mai usato quella parola. Scopano come conigli, quello forse sì – d’altra parte come potevano fare altrimenti? Ma proliferano era fuori dalla sua portata.

“Ma ti senti come parli, papà?”.

“No, Michele. Sei tu che non capisci,” il padre si era alzato in piedi e ora il fucile gli pendeva da una spalla, aggrappato a una tracolla di cuoio troppo lunga, “noi dobbiamo fermarli sennò…”.

“Sennò cosa?” lo interruppe Michele alzandosi a sua volta, “Entrano in giardino e ti rosicchiano due gambi di geranio? Non fai nemmeno più l’orto, che danno vuoi che facciano?”. 

Uno di fronte all’altro. Stessa altezza, ma il padre stazzava sui cento chili e un primitivo campanello d’allarme fece fare a Michele un passo indietro.

“Adesso basta!”. Luciano gli affondò l’indice nel petto. “Tu non hai alcun diritto di venire qui e dirmi cosa posso o non posso fare!”.

“Ma..”

“Niente ma! C’è la delibera comunale che mi dice che posso farlo? E allora io vado! E se mi girano ne porto anche qualcuno a casa per fare un bello spezzatino! Che ne dici, Wanda?”, urlò girandosi verso la cucina, “Dici che due conigli bastano per una buona cenetta?”.

La sua faccia era attraversata da sfumature sempre più colorite, da un rosa pallido a un rosso magenta, con i capillari delle guance che sembravano sul punto di rompersi.

Subito dopo arrivò il boato.

Fortissimo. 

Un botto degno dell’apocalisse.

Risuonò per tutta la casa facendo tintinnare i bicchieri del servizio di cristallo nella vetrinetta degli alcolici.

Padre e figlio si zittirono di colpo, guardandosi a vicenda come per controllare di essere tutti interi. Poi controllarono pavimento e soffitto.

Rimasero così qualche secondo, poi Luciano si precipitò alla finestra scostando la tenda di stoffa leggera.

“Hanno iniziato senza di me!” disse guardando verso un punto imprecisato al di là della staccionata. Il tono era quello di un bambino che vede Babbo Natale ripartire sulla slitta portandosi appresso i suoi regali. 

“No, papà,” disse Michele lasciando andare stancamente il fiato, “era solo un tuono. Sta iniziando un brutto temporale.”. Fuori, il tintinnio delle gocce sulla grondaia si tramutò in fretta in uno scroscio d’acqua sempre più intenso, sostituito subito dopo da un rumore più martellante. 

Il padre rimase in contemplazione del vialetto di ingresso alla casa, tramutato in un piccolo scivolo carico di biglie bianche in rapido movimento verso la strada.

“È vero,” ammise subito dopo, “allora… aspetto un attimo. Sembra proprio il diluvio universale.”

“Bene. Intanto però fammi un favore, metti via quell’affare.”

“Sì, ok. Io… Scusa. Aspettiamo e vediamo come si mette.”

Le previsioni del tempo dicevano bello.

Non ne azzeccano mai una, pensò di nuovo Michele.

“Papà.”

“Sì?”

“In televisione c’è la nazionale, ti va se resto qui e la guardiamo assieme?”

Settembre 2024

© 2024 "Stanno arrivando" è una pubblicazione digitale della rivista letteraria Nido di Gazza.
Tutti i diritti correlati alla presente rivista sono riservati agli autori e collaboratori di Nido di Gazza.

Nido di Gazza | Rivista Letteraria - Nido di Gazza © Copyright 2023