Angelo Antonio

La linea

ANNO 02 | SPECIAL 03 | AGO 2024

L’odore della pioggia è nauseante.

I temporali diffondono nell’aria qualcosa di rancido ed esausto, come se la terra fosse un vecchio vagabondo, ispido e lurido, avvolto in una coperta unta, che, sorpreso sotto un acquazzone estivo, si scioglie finalmente dei suoi umori, in cui si concentrano settimane di miseria e ingiustizia. 

Pioveva sopra la pianura già da qualche ora. In piena notte, Marta s’era alzata dal letto e, ancora in pigiama, aveva aperto la porta per portare dentro le piante che erano sopravvissute all’ultima grandinata, e quell’odore era entrato in casa, strisciando sullo zerbino, facendosi largo nel corridoio per accomodarsi in soggiorno. 

Non era così che lo sentiva da bambina. Il petricore aveva piuttosto l’odore di una bevanda zuccherina e frizzante – ne aveva imparato il nome a scuola e aveva pensato di diventare ricca brevettando la Petricola, un drink fresco, che dà sollievo, fatto di fiori e ozono. 

Era convinta che il petricore fosse cambiato nel tempo, così come i temporali, l’afa, la consistenza della nebbia e la forza del vento. Adesso il petricore sembrava provenire dalla risalita di un liquido guasto di foglie, insetti, carcasse di piccoli animali, solventi, pesticidi, benzina, alito di tombini e di tutto quello che la pioggia porta con sé. Una fanghiglia che sarebbe rifluita dentro casa, come era successo l’estate scorsa. 

Durante il giorno, il sole aveva tormentato la pianura. I campi, le strade, i capannoni, le villette e le palazzine, ogni essere vivente avevano subito con rassegnazione la canicola. Poi, nel tardo pomeriggio, l’aria densa s’era decisa a partirsi dal suolo, verso una bolla azzurrina, assopitasi chissà quando, tanto in alto nel cielo, per poter godere più a lungo di una fredda solitudine. Così, ad agosto, andava in scena uno spettacolare collasso termico: l’agitazione di banchi d’aria provocava un vento inaudito, che attraversava i campi come un imponente esercito di fantasmi, in marcia verso un fronte sconosciuto. La schiera ventosa – fanti e cavalieri infuriati che appaiono per un attimo attraverso mulinelli di foglie, cartacce e buste – avrebbe molestato, tentando di trascinarli in guerra, uomini e donne, le loro case, o almeno le tegole, i vasi, le gonne e i cappelli, le bici, gli alberi. Dopodiché, a questo smobilitare dell’aria terrestre seguiva una caduta rovinosa, di pioggia e grandine, e per un paio d’ore il nuovo petricore ammorbava l’aria di un’agitazione gastrica, e tutto ciò di cui la terra era imbottita sembrava venir fuori. 

Seduto sul divano in soggiorno, Giovanni era sul punto di uscire. Né lui né Marta avevano dormito davvero. Il suono incessante di milioni gocce che si infrangevano al suolo assomigliava a quello di una grande macina che lentamente frantuma chicchi di grano. Marta s’era alzata poco dopo di lui, con l’idea di pretendere una giustificazione. Non gli aveva rivolto parola, portando le piante dentro, si era infreddolita, aveva osservato il cielo buio e imponderabile, si era assicurata che tutte le persiane fossero ben chiuse, aveva controllato che Federico dormisse ancora. Poi si era seduta accanto a Giovanni che si stava allacciando le scarpe da lavoro.

«Devi andare per forza?»

«Ci hanno detto che si lavora comunque. Il livello di allerta è ancora basso»

«Con tutta questa pioggia. Si sta avvicinando il temporale, non senti?»

«Cosa posso farci io?»

«E se ci viene addosso come l’altra volta?»

Giovanni non rispondeva, la sua faccia era tesa, abituata a svegliarsi presto, al freddo notturno. Era pronto a uscire, con la tuta da netturbino, impermeabile. I capelli rasati accentuavano i tratti del viso, le orbite quadrate ai lati del naso che precipitava, dritto e senza sobbalzi, sulla bocca sottile e affilata. A Marta piaceva il suo aspetto virile e il corpo muscoloso, perfetto per quello che faceva: trascinare, sollevare, caricare, lanciare sacchi di cose scartate, montare e smontare dal camion, aggrapparsi ai maniglioni, resistere ai contraccolpi delle frenate. A Marta non aveva mai dato fastidio la questione della spazzatura, dello sporco. Nauseata e stordita dal risveglio notturno, reclamava di non essere sbrigata col silenzio. 

«Vorrà dire che andremo di nuovo su.»

Il volto di Giovanni non sembrò subire alcuna variazione, sull’ordinato reticolo di linee che lo componevano non comparve l’accenno di un’increspatura. Lui la guardò negli occhi, le prese il polso accanto alla sua coscia, avvolgendolo tutto, nell’intento di sopperire con un gesto fisico ai discorsi.

Mentre Giovanni apriva la porta di casa, il petricore raggiunse Marta che, ancora intontita, ebbe un sussulto e corse in bagno. China sul gabinetto, il suo sguardò andò sullo stipite della porta in legno, sui segni di penna accanto al legno. Se dovesse piovere ancora, pensava, se l’acqua dovesse salire, sarà diramata l’allerta.

L’anno scorso l’acqua si fermò a sessanta centimetri. Federico aveva quasi due anni ed era alto abbastanza da far affiorare la bocca e il naso, forse con un certo sforzo del collo o stando in punta di piedi. L’acqua, a sessanta centimetri, gli avrebbe permesso di respirare. Ogni cosa al di sotto di quella linea, tutto quello che non riuscirono a portare sopra, era andato in malora, ricoperto dal fango. Vivevano al piano terra di una villetta bifamiliare, costruita come tante altre, su una lieve depressione del suolo, a pochi chilometri da un torrente che anche i più anziani ricordavano sempre in secca e innocuo, fino a qualche anno fa. Dopo due giorni di pioggia, l’inondazione fu rapida, e in meno di mezz’ora l’acqua arrivò all’altezza del battiscopa. In pochi minuti la videro avvicinarsi alle prese della corrente. Pregarono che non fosse poi tanta, che non arrivasse a inzuppare il divano, traboccando nella dispensa, nei cassetti del comodino, nella cassapanca, nella consolle. Nel frattempo, avevano portato tutto quello che poterono verso l’alto, al primo piano. Sofia, la vicina, li aveva soccorsi e aveva aperto il suo appartamento a ciò che Giovanni, Marta le consegnavano. Per due settimane li aveva accolti, il tempo di rimettere la loro casa in ordine.

Marta e Giovanni verificarono la misura esatta del disastro dietro l’anta della porta del bagno, sulla parete, accanto allo stipite: il fango si era fermato dove una penna aveva scritto: 60 cm, maggio 2022.

Nel bagno allagato, osservarono bene quel punto attenti a non far muovere ulteriormente l’acqua. Come se quella misura potesse contribuire a conoscere meglio le cause dell’inondazione, la costanza e l’intensità delle precipitazioni, così mai viste prima, in modo da poter un giorno salvare più in fretta le loro cose. Come se quello fosse il segno inequivocabile che si era oltrepassato il limite, che gli eventi d’ora in avanti si sarebbero dovuti monitorare per tempo, anticipando e progettando. Come se si fosse stabilito un limite morale e un impegno.

La casa fu ripulita dal fango in tre modi. Per Federico fu un gioco. Marta gli disse: è il contrario del colorare. Tutte le cose sono diventate marroncine, noi spazzoliamo e grattiamo per scoprire i colori originali. Per Giovanni fu una prestazione, una gara. Doveva ripulire e riaggiustare in fretta, nel miglior modo possibile, come se la sua energia potesse minimizzare il trauma e rimediare al corso degli eventi.

Per Marta, invece, la pulizia si accompagnò alla riflessione. S’era stupita, contemplando lo stato rovinoso della casa, della capacità del fango di infilarsi ovunque, di ricoprire con cura ogni cosa rivelandone un aspetto inconsueto. Gli oggetti della sua vita famigliare avevano assunto una bellezza uniforme e singolare, che sembrava provenire dalla forza implacabile che li aveva travolti. Il fango, seccandosi, aveva aderito alla superficie degli oggetti, restituendo un’apparenza di croste e polvere. Marta ammirava e poi toglieva questo nuovo guscio, per far tornare le cose alla loro realtà, per come l’avevano sempre conosciuta. Pulendo e pensando, le tornarono in mente gli studi abbandonati quando si è trovata incinta di Federico. Si ricordò di Prometeo, che ha fatto l’uomo dal fango; che il fango è un materiale tanto nobile da prender posto in una discussione filosofica sul rapporto tra le cose e le idee. Notò che non aveva voluto salvare la tesi di laurea e tanti altri libri, forse perché, in quei momenti concitati, Giovanni le disse di lasciar perdere e di prendere solo cose di valore. Un giorno, mentre puliva circondata da carta, secchi e strofinacci, ritrovò la pila di saggi, ormai gonfi e illeggibili, dimenticati sul fondo di una cassapanca in camera da letto. Tra questi c’erano anche quei pochi romanzi che aveva regalato a Giovanni all’inizio della loro relazione, e da lui mai troppo considerati. In uno di questi, scoprì una lettera, scritta a mano, il cui inchiostro diluito lasciava ancora decifrare parole isolate, e una firma. Allora, capì perché il fango sembrava aver dato valore agli oggetti e che le cose, trasfigurate da una volontà crudele e distratta, rivelavano i resti di una vita deludente.

Il messaggio di allerta per eventi estremi arrivò poco prima dell’alba. Marta si precipitò in bagno, tentò di ravviare al meglio i capelli, si osservò allo specchio gonfia di sonno o di dispiacere, immerse il viso nell’acqua gelida, ne riemerse identica, affaticata. Scartò l’idea di truccarsi, poi andò in camera per vestirsi, cercando di considerare l’importanza dell’avvenimento, il suo significato di sciagura e di occasione. Poi andò a svegliare Federico. Quando Sofia bussò alla porta, Marta già immaginava i momenti successivi: l’espressione decisa di Sofia mentre li invitava, l’assenza di pericolo nel suo sguardo, in grado di sostenere la solidarietà e l’ipocrisia; il corpo pieno e morbido nella vestaglia da notte, mentre oscillava salendo le scale, di cui avrebbe invidiato la linea dei fianchi e l’audacia con cui offrivano una promessa, un rifugio nell’imminente disgrazia; aveva già anticipato i suoi gesti e il rituale dell’ospitalità, il senso del dovere e l’impostura. Si sarebbero accomodate in soggiorno. Sul divano, Federico si sarebbe addormentato di nuovo sulle sue gambe. Poi si sarebbero ritrovate una di fronte all’altra. 

«È vergognoso che li abbiano mandati al lavoro. Il temporale era previsto.»

«Mi ha scritto che in paese ha già smesso di piovere. Dice che si ritirerà presto, che l’allerta è una formalità politica, per i giornali di domani.»

«Avrebbe fatto meglio a non andare.»

«A cosa stai pensando? Che potrebbe non tornare più?»

«Non dovresti nemmeno dirlo.»

Sofia esitò, cercando di negare la premura, pensando di potersi ancora nascondere dietro l’immagine di buona vicina a cui viene concesso di osservare dall’alto e consigliare in intimità.

«Tu hai questa tendenza, pensi troppo. Non si tratta della fine del mondo. Ci siamo già convinti di essere destinati all’apocalisse. Ci hanno convinto che ci sarà un solo grande evento finale. E invece, si è condannati solo alla propria fine, alla fine del nostro mondo privato. Si possono vivere molte catastrofi in una sola vita, fino al punto in cui non si oltrepassa la linea dell’invivibilità, dell’angoscia insopportabile. Ne siamo ancora lontani, e tu dovresti saperlo. Vi siete rialzati già una volta.»

«Quindi, ci deve andare bene così: essere sommersi di nuovo, resistere all’acqua che, ogni estate, d’ora in poi, ci farà visita. Ci abitueremo a un’esistenza da rifugiati, pronti a mettere tutto in un sacco, a portare sulla schiena l’indispensabile. Come formiche che conoscono solo il sacrificio, l’accumulo, la solidarietà, il senso della continuità e della salvezza. E allora ci ritroveremo di nuovo da te, come se tu fossi la custode delle nostre catastrofi personali.»

«Vi ho aperto le porte di casa, quando serviva. Anche se abito al piano di sopra, non pensare che l’alluvione non abbia colpito anche me. Anche se la mia casa è salva, la nostra paura è la stessa.»

Marta pensò che Sofia avesse ragione, che l’intimità nasce dalla condivisione di una minaccia. Non è per questo che sta in coppia? La passione svanisce e poi il voler tornare indietro genera discordia. Si diventa egoisti, ognuno pensa di poter ricevere piacere, finché si è in tempo. Allora si scopre di voler stare insieme per intimidazione reciproca: per paura di miseria, malattia e morte. Anche i figli in tarda età si fanno per paura che sia troppo tardi. E si vede: i figli della nostra generazione nascono saturnini e freddi mentre il mondo si riscalda.

Marta guardò suo figlio.

«Che strana coppia che siamo, io e te. Potrei farmi d’un tratto più acuta, presentarmi un giorno davanti alla tua porta e darti un avvertimento. Basterebbe a far marcire le fondamenta di questa squallida villetta in campagna. Dovrei poi solo attendere e lasciare che la vergogna inizi a corrodere i pilastri, che l’imbarazzo inizi a macchiare le pareti, finché non dovrai convivere ogni giorno col tanfo lacustre del decoro perduto, fino alla rovina, fino al trasferimento. Allora, dovrai prendere le tue cose e andar via».

«Potrai non credermi, ma nessuno è mai voluto andare oltre una certa linea.»

«Quindi, hai aspettato un altro diluvio per mostrare il tuo disinteresse, la tua umanità da formica regina, per poter stipare nel tuo appartamento ogni nostra finzione, tutti gli oggetti di cui non faremo a meno.»

Senza dire altro, Marta prese in braccio Federico, raggiunse la porta dell’appartamento, scese le scale interne della viletta e uscì in strada. Il temporale si ritirava sopra la villetta, risucchiando l’aria notturna in gorghi rumorosi di nubi ormai sgonfie. Nell’altra metà del cielo, la luce dell’alba si faceva largo con sfrontato vigore. L’emozione e lo sforzo che le arrossavano il viso sembravano trovare una giustificazione. Continuò a camminare senza voltarsi. Ancora un singhiozzo le turbava il respiro, finché non inspirò con forza. Credeva di essere presa dalla nausea, sentiva invece l’odore della pioggia come un fresco sollievo. Un petricore come infantile accompagnava i suoi passi mentre affondava le scarpe nelle pozzanghere, quasi per gioco. Si diresse dai suoi genitori, mentre il tepore luminoso dell’alba iniziava ad asciugare la terra. I suoi pensieri si facevano lievi. Li attendeva una bella estate: Federico sarebbe cresciuto ancora e sarebbe stato al sicuro.

Respirava forte, con euforia.

Le sembrava di passeggiare su uno strato d’ozono profumato.

Agosto 2024

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